La sua coltivazione risale a 10mila anni fa, ma fino ad oggi non era chiaro dove avesse avuto origine e come si fosse diffusa: una rivoluzionaria ricerca genetica ci aiuta a tracciarne l’evoluzione
di Emma Pagano
La storia millenaria del vino ha sempre affascinato l’uomo, che sin dai tempi antichi ha cercato di rintracciarne le origini: da Osiride a Bacco i popoli dell’area eurasiatica, consci dell’importanza della coltivazione, riconducevano spesso la comparsa della vite a un intervento divino. Tuttavia, da un punto di vista scientifico, la storia della coltivazione dell’uva (insieme all’evoluzione delle diverse varietà che oggi popolano il mondo, ognuna con le proprie caratteristiche dettate dal territorio di provenienza) è rimasta a lungo avvolta nel mistero.
Oggi l’analisi genetica ci permette di ricostruire con un grado inedito di certezza l’origine e la diffusione della vite, a partire dall’epoca preistorica. Un recente studio condotto da un’equipe internazionale di ricerca, comparso sulla nota rivista Scientific American, ha analizzato il DNA di oltre 2.500 viti domestiche e 1000 viti selvatiche. L’obiettivo? Classificare le variazioni genetiche al fine di tracciare la “storia di famiglia” della vite. I risultati che ne emergono sembrano mettere in discussione le teorie esistenti sulla storia del vino e offrono un racconto sulla sua diffusione che smentisce alcune delle convinzioni più radicate sulla sua evoluzione.
Le origini diffuse
Le teorie esistenti sull’evoluzione della viticoltura privilegiavano l’idea di un’unica area di origine della vite, possibilmente nell’area del Caucaso o nella Penisola Iberica, da cui si sarebbe poi diffusa nel resto del continente. I dati genetici, tuttavia, indicano che tra i 400mila e i 300mila anni fa la vite selvatica era indigena a tutta la parte occidentale e centrale del continente euroasiatico.
L’era glaciale
Circa 200mila anni fa, l’arrivo di un’epoca di glaciazione, caratterizzata da climi freddi e secchi, fu responsabile della graduale scomparsa della vite nelle regioni centrali del Mediterraneo, dividendo l’habitat delle viti in due aree isolate: una ad ovest del mare (oggi Portogallo, Spagna e Francia) e una ad est (approssimativamente Israele, Siria, Turchia e Georgia). Circa 56.000 anni fa, la regione orientale si suddivise ulteriormente in aree isolate più piccole: il Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaigian) e l’Asia occidentale (Israele, Giordania e Iraq).
Nacque prima l’uva da tavola o da vino?
Una delle domande più misteriose della storia della viticoltura riguardava i diversi possibili usi dell’uva: a diffondersi nel continente eurasiatico furono prima le viti da cui veniva prodotta uva destinata al consumo o alla fermentazione? In altre parole, gli umani antichi iniziarono a coltivare la vite per mangiarne i frutti o per trasformarli in vino?
Lo studio genetico risponde una volta per tutte a questo dibattito, rivelando che i due diversi usi si svilupparono contemporaneamente, circa 11mila anni fa, in diverse zone del continente: in Asia occidentale l’uva da tavola, e nel Caucaso quella da fermentazione, sebbene l’arte della vinificazione molto probabilmente fu perfezionata solo 2-3mila anni dopo.
La diffusione nel Mediterraneo
Secondo i dati genetici, i proto-viticoltori dell’Asia occidentale migrarono poi verso l’Iberia, portando con sé le viti da tavola. Lungo il cammino, le viti da tavola si incrociarono con le viti selvatiche locali che crescevano nei diversi territori attraversati dalla migrazione. Il primo incrocio probabilmente avvenne nella zona dell’odierna Israele e della Turchia, dando vita all’uva moscata, che essendo ricca di zucchero può essere sia mangiata sia fermentata.
Lo sviluppo delle varietà territoriali
Nel frattempo, in Europa, si assisteva a un processo affascinante. Le uve selvatiche locali si mescolavano con le viti da tavola portate dagli agricoltori migranti: gradualmente, l’uva destinata al consumo fu geneticamente trasformata in diverse uve da vino nei Balcani, in Italia, Francia e Spagna. Alcune di queste varietà, come il cabernet sauvignon, conservano lo stesso nome ovunque vengano coltivate; altre varietà, invece, pur essendo geneticamente identiche, sono conosciute con nomi diversi a seconda delle regioni, come ad esempio lo zinfandel e il primitivo. Ma il viaggio dell’uva non si è fermato lì: missionari, esploratori e commercianti hanno contribuito a diffondere la coltivazione delle viti dall’Eurasia alle Americhe tra il XIV e il XVI secolo, aprendo la strada a nuove terre vinicole come l’Argentina, il Sudafrica e l’Australia.
Secoli di incroci e selezioni hanno sfumato la linea di discendenza di molte varietà di uva: nel tentativo di perfezionare sempre più la coltivazione, i viticoltori sperimentarono un’infinità di incroci e innesti, stravolgendo l’impronta genetica originale delle viti. “Una volta ottenuta una varietà dalle caratteristiche superiori, tendevano a rimpiazzare del tutto le viti precedenti”, ha spiegato a Scientific American uno dei responsabili della ricerca, Wei Chen, dell’Università Agricola di Yunnan, in Cina. Nonostante la precisione dei nuovi dati restituiti da questa massiccia ricerca genetica, dunque, risalire con ulteriore certezza alle origini delle varietà attuali, tracciandone l’evoluzione genetica fino ai due primi centri di domesticazione, in Asia occidentale e nel Caucaso, risulta quasi impossibile.
Ciononostante, i dati sulla composizione genetica di ciascuna varietà ci permettono di conoscere – e apprezzare – meglio il contenuto del nostro bicchiere. Il terroir, con la sua combinazione unica di suolo, clima e topografia, conferisce a ogni vino una personalità distintiva che gli esperti come i sommelier sono in grado di riconoscere anche dall’altra parte del mondo. Un’identità che oggi, grazie alla ricerca genetica, si fa ancor più profonda.
Credit: Francesco Franchi: Source: “Dual Domestications and Origin of Traits in Grapevine Evolution,” by Yang Dong et al., in Science, Vol. 379; March 2023 (data): Consultant: Wei Chen/Yunnan Agricultural University