La nostra produzione è arrivata a 3,6 milioni di tonnellate all’anno, riempie un piatto su 4 sul pianeta e ha un giro d’affari di 7 miliardi. Per la nostra sicurezza alimentare, però, è necessario saper distinguere tra etichette, qualità, ingredienti e provenienza
di Paolo Caruso
La pasta secca è uno degli alimenti a base di grano duro più consumati al mondo, grazie alle sue qualità organolettiche e sensoriali, al valore nutrizionale, al prezzo conveniente e alla lunga durata di conservazione.
Da sempre la pasta, al pari della pizza, è sinonimo di Italia: il nostro Paese è il primo produttore al mondo, con 3.6 milioni di tonnellate all’anno e un fatturato che sfiora i 7 miliardi di euro. Un piatto di pasta su 4 consumato in tutto il mondo è “Made in Italy.”
L’Italia, oltre ad essere il Paese maggiore produttore di pasta nel mondo, è anche la nazione dove se ne consuma di più: 23,5 kg/anno, seguita dalla Tunisia con 17 kg/anno.
Secondo l’”International Pasta Organization” (IPO), la produzione mondiale di pasta è raddoppiata negli ultimi 20 anni, raggiungendo un controvalore di circa 20 miliardi di euro, con una previsione di crescita del 2,3% fino al 2025 [1].
Una recentissima ricerca scientifica pubblicata su “Foods” dal titolo Hedonic Analysis of Dried Pasta Prices Using E-Commerce Data—An Explorative Study (Bimbo et al., 2024) [2], ha passato in rassegna le abitudini di acquisto dei consumatori di pasta secca con particolare riferimento ai prezzi di vendita associati alle caratteristiche del prodotto. Lo studio scientifico è stato condotto analizzando i prezzi e le caratteristiche della pasta secca venduta online nel mercato italiano, mediante l’osservazione diretta del sito Amazon.it (il più grande marketplace di e-commerce in Italia), nel mese di dicembre 2022. I ricercatori hanno utilizzato la parola chiave “pasta secca” per la ricerca dei prodotti in vendita, ottenendo la restituzione di 260 risultati organizzati in 6 pagine web. Lo studio conferma che, storicamente, l’industria italiana della pasta secca è dominata da poche grandi aziende che hanno come comune denominatore la competizione sui prezzi di vendita, più che sugli aspetti qualitativi.
Il mercato così strutturato complica la vita dei piccoli produttori locali, che riescono a ritagliarsi uno spazio soltanto differenziando le proprie strategie di mercato rispetto a quelle dei grandi player. Solo privilegiando la soddisfazione delle nuove tendenze di mercato di un pubblico più attento agli aspetti qualitativi, salutistici e alle innovazioni di prodotto, alla differenza del prezzo di acquisto, queste piccole e medie aziende possono ritagliarsi una fetta di pubblico differente da quella dei grandi competitor.
La differenziazione della strategia comprende anche l’individuazione di canali di distribuzione e vendita alternativi. Le aziende medio piccole sono costrette a bypassare il canale della Grande Distribuzione, un vero e proprio Moloch per il loro modello di business, preferendo spesso le piattaforme e-commerce.
Negli ultimi anni il mercato della pasta italiano è in continua trasformazione; l’obbligo di indicare in etichetta il luogo di provenienza del grano (norma avversata da tutti i più grandi pastifici italiani anche in sede di TAR, ma puntualmente confermata), ha segnato uno spartiacque nel mercato italiano di questo prodotto. Negli ultimi 10 anni i dati di vendita e la letteratura scientifica di settore, hanno evidenziato come i consumatori italiani mostrino una forte preferenza per la pasta prodotta con grano duro nazionale, non tanto per motivi campanilistici, ma per un’aumentata consapevolezza circa la sicurezza alimentare del grano estero (eventuale presenza di micotossine e glifosato in primis).
Questa tendenza viene confermata anche dai grandi pastifici, che – per non perdere fette di mercato – hanno modificato le proprie politiche aziendali fino ad arrivare alla produzione di linee di pasta prodotte esclusivamente con grano nazionale. Una vera e propria inversione a U rispetto a quanto dichiarato nel recente passato dai grandi industriali della pasta, che sbandieravano a reti unificate la supremazia qualitativa del grano estero, affermazioni che, fatta salva la necessità di importare grano dall’estero per la mancata autosufficienza di quello locale, in realtà nascondevano motivi commerciali e finanziari che poco hanno a che vedere con la qualità del grano italiano.
Certo sarà interessante osservare le future statistiche sulla produzione nazionale di grano duro, le importazioni e la produzione di pasta etichettata come italiana: la contrazione delle superfici seminate a grano duro registrata quest’anno, sommate all’aridità che sta colpendo le regioni maggiori produttrici, non fanno presagire di certo a una buona annata e conseguentemente sarà obbligatorio importare ancora più frumento dall’estero.
Occorrerà poi essere molto bravi a spiegare l’eventuale incongruenza dei flussi. Oltre alla provenienza nazionale del grano i consumatori sembrano prediligere anche l’indicazione geografica protetta (IGP) [3,4,5], la certificazione biologica e la pasta prodotta con semola integrale.
Ancor più recentemente, alcuni ricercatori hanno registrato una crescente domanda di pasta con certificazioni Halal e Kosher, diciture che garantiscono che il processo produttivo è stato realizzato nell’osservanza rispettivamente dei precetti della legge islamica ed ebraica, come conseguenza del crescente multiculturalismo nelle società moderne [6].
La ricerca in esame ha inoltre rilevato un crescente interesse dei consumatori a favore della pasta etichettata come “artigianale” (anche se è una dicitura non ammessa nella nostra legislazione), ovvero la pasta prodotta da piccole aziende, in quantità limitate, utilizzando alcune pratiche artigianali e tradizionali, come l’essiccazione lenta o la trafilatura a bronzo [3,4,7,8].
Un capitolo a parte merita la preferenza che i consumatori stanno recentemente accordando alla pasta prodotta con varietà di grani duri antichi, per un mix di ragioni ambientali, salutistiche e culturali.
Un recente studio scientifico “Effect of ancient wheat pasta on gut microbiota composition and bacteria-derived metabolites: A randomized controlled trial” (Baldi et al., 2022) conferma, ove ce ne fosse ulteriore bisogno, le significative proprietà salutistiche di questi ultimi, capaci di migliorare la composizione del microbiota intestinale e di riflesso le nostre capacità anti infiammatorie.
Questa ricerca si aggiunge alle numerose testimonianze scientifiche che attribuiscono ai “grani antichi” delle qualità salutistiche differenti rispetto ai grani moderni. Queste proprietà sommate alla molitura a pietra con cui viene spesso prodotta la propria semola e ai metodi di lavorazione “artigianali” che vengono adottati, costituiscono una solida motivazione per accordare a questa tipologia di pasta un prezzo di vendita superiore alla pasta comune.
Ma è proprio il prezzo di vendita più elevato, aggiunto ad un’insufficiente consapevolezza del consumatore, a penalizzare oltre modo queste filiere che, a causa anche di queste criticità, non riescono ancora sviluppare economie di scala più rilevanti che porterebbero certamente a una riduzione del costo di acquisto di questi prodotti.
E pensare che basterebbero 30 centesimi di € al giorno in più per ognuno di noi, per poter acquistare e consumare una pasta “artigianale” prodotta con semola di grani antichi.
Certo sperare che questa maggiore consapevolezza venga acquisita attraverso la comunicazione realizzata dai canali mainstream (giornali e tv) ci sembra un mero esercizio di stile. Il peso pubblicitario dei grandi pastifici è talmente imponente da condizionare la qualità dell’informazione dei loro interlocutori: non è ancora semplice dire o scrivere che qualche euro in più speso per l’acquisto di prodotti di qualità verrebbe compensato da una riduzione delle nostre spese mediche.
Paolo Caruso
Creatore del progetto di comunicazione “Foodiverso” (Instagram, LinkedIn, Facebook), Paolo Caruso è agronomo, consulente per il “Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente” dell’Università di Catania e consulente di numerose aziende agroalimentari. È considerato uno dei maggiori esperti di agrobiodiversità
BIBLIOGRAFIA
International Pasta Organization. Available online: https://internationalpasta.org/ (accessed on 2 April 2024).Bimbo F., De Meo E., Carlucci D. (2024). Hedonic Analysis of Dried Pasta Prices Using E-Commerce Data-An Explorative Study. Foods 2024, 13, 903. https://doi.org/10.3390/foods13060903.Altamore, L.; Bacarella, S.; Columba, P.; Chironi, S.; Ingrassia, M. The Italian consumers’ preferences for pasta: Does environment matter? Eng. Trans. 2017, 58, 859–864.Altamore, L.; Ingrassia, M.; Columba, P.; Chironi, S.; Bacarella, S. Italian consumers’ preferences for pasta and consumption trends: Tradition or innovation? Int. Food Agribus. Mark. 2020, 32, 337–360.Boncinelli, F.; Dominici, A.; Bondioni, F.; Marone, E. Consumers behavior towards the country of origin labeling policy: The case of the pasta market in Italy. Agribusiness 2024, 40, 46–69.De Boni, A.; Forleo, M.B. Italian halal food market development: Drivers and obstacles from experts’ opinions. J. Islam. Mark. 2019, 10, 1245–1271.Cavallo, C.; Del Giudice, T.; Cicia, G.; Di Monaco, R.; Caracciolo, F. Revealed preference approach for analysing consumer preferences: A choice experiment with a real-life setting. Politica Agric. Internazionale-Int. Agric. Policy 2014, 2014, 43–50. Defrancesco, E.; Perito, M.A.; Bozzolan, I.; Cei, L.; Stefani, G. Testing consumers’ preferences for environmental attributes of pasta. Insights from an ABR approach. Sustainability 2017, 9, 1701.