In Inghilterra le bottiglie prodotte sono aumentate del 130% in 5 anni. Svezia, Danimarca e Finlandia iniziano a produrre sostituendo i frutti di bosco con gli acini. Servono nuove tecniche, infrastrutture e strumenti, ma non basteranno
di Paolo Caruso
L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), una prestigiosa istituzione che fa capo alle Nazioni Unite costituita nel 1988 dalla World Meteorological Organization e dallo United Nations Environment Programme, l’anno scorso ha pubblicato un allarmante report che definisce il prossimo futuro della scienza climatica.
Il documento dell’IPCC, tra le altre evidenze, ha segnalato un aumento della temperatura globale compreso tra 0.8 e 1.2°C rispetto all’era preindustriale, imputabile per buona parte alle attività riconducibili al boom industriale della seconda metà del ventesimo secolo.
Se lo scenario previsto verrà confermato si potrebbe verificare un aumento della temperatura della superficie terrestre di 3/4 °C entro il 2100, con conseguenze irreversibili per le sorti dell’intero pianeta.
Questi mutamenti si ripercuotono su tutte le attività antropiche, ma soprattutto sul settore agricolo, protagonista di quella che si preannuncia come una rivoluzione epocale.
Gli effetti dei cambiamenti climatici si sono palesati a tutte le latitudini.
Nel sud Italia la carenza di precipitazioni registrata nelle ultime 2 annate agrarie ha pochi precedenti, con ricadute pesantissime sul tessuto produttivo ed economico nazionale.
L’ISMEA nel suo rapporto del 2023 ha evidenziato che il settore agroalimentare italiano, a causa della siccità degli ultimi 2 anni, è sceso al terzo posto nella graduatoria Ue per valore alla produzione. Secondo le associazioni di categoria, tra coltivazioni e infrastrutture, i danni nel 2023 hanno superato i 6 miliardi del 2022. E nel 2024 le cose, se possibile, peggioreranno.
Già si parla di stagione compromessa per il grano, di una stagione agrumicola pessima a causa della pezzatura ridotta dei frutti, di agricoltori sempre più decisi a non produrre colture irrigue per la stagione primaverile/estiva a causa degli invasi asciutti e di allevatori disperati perché non c’è pascolo e acqua per i loro animali. Praticamente un compendio di alcune delle criticità sollevate dagli agricoltori che stanno protestando in quest’ultimo periodo.
Con tutte queste difficoltà diventano improcrastinabili scelte strategiche nette e per certi versi inedite, che ribaltano secoli di conoscenze, tradizioni e pratiche agricole. Quella che prima era vista come una sorta di attività sperimentale sta diventando una consuetudine se non una necessità, ovvero lo slittamento delle longitudini delle colture.
In Sicilia avanza il deserto e nelle zone a clima adatto si stanno insediando in misura significativa impianti di frutticoltura tropicale: mango e avocado vengono coltivati accanto, se non in sostituzione, di limoneti, aranceti e vigneti. Per non parlare dei primi esperimenti che riguardano coltivazioni di caffè e banane.
Ma anche al Nord le questioni non sono certo dissimili: nella zona delle Prealpi lombarde vengono coltivati uliveti, mentre nel resto d’Europa la produzione di champagne si sta trasferendo Oltre Manica, sostituita da coltivazioni di vigneti da corposi vini rossi.
In Inghilterra sono 3.855 gli ettari coltivati a vite, per una produzione che nel 2022 si è attestata a 12,2 milioni di bottiglie, con un incremento del 130% rispetto ai 5,3 milioni di bottiglie prodotte nel 2017 (dati Decanter).
Ma i nuovi vigneti non si stanno insediando solo nel Regno Unito: Svezia, Danimarca e prossimamente anche la Finlandia diventeranno paesi produttori. Dai “vini” ai frutti di bosco passeranno ai vini fatti con l’uva.
Questa migrazione delle coltivazioni non può certo sopperire a quello che si preannuncia come uno dei grandi problemi globali che l’umanità intera dovrà affrontare, ovvero la sicurezza alimentare. Ad oggi non vi è certezza che in futuro si possa garantire in modo costante e generalizzato acqua ed alimenti per soddisfare il fabbisogno energetico di cui l’organismo necessita per la sopravvivenza e la vita, in adeguate condizioni igieniche.
Prova ne sia che anche il futuro delle tre colture più utilizzate al mondo per l’alimentazione umana (frumento, mais e orzo), è a forte rischio; l’innalzamento delle temperature porterà, o meglio sta già portando, a una riduzione di superfici coltivate e di rese, con inevitabili ricadute sull’incremento di masse umane costrette a spostarsi per nutrirsi. Ovvero quando l’agricoltura determina gli scenari geopolitici.
Questi cambiamenti epocali – per poter essere adeguatamente governati -necessitano di indifferibili interventi strutturali quali nuove tecniche agronomiche, realizzazione di infrastrutture e adozione di strumenti innovativi di gestione del rischio.
Volete un esempio della gravità della situazione?
Anche la paludadata regione siciliana, destandosi da eterno torpore, si sta muovendo. In linea con la più recente legislazione europea, ha recentemente autorizzato il riuso delle acque reflue in agricoltura, una misura non più differibile constatata l’assenza di precipitazioni sull’Isola.
Se non è un altro assordante campanello d’allarme questo…
Paolo Caruso
Creatore del progetto di comunicazione “Foodiverso” (Instagram, LinkedIn, Facebook), Paolo Caruso è agronomo, consulente per il “Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente” dell’Università di Catania e consulente di numerose aziende agroalimentari. È considerato uno dei maggiori esperti di agrobiodiversità