Armando Castagno (Accademia Treccani) racconta personaggi, incontri e storie di “un terroir in divenire. Il vino è sociologico” (sommario)
di Raffaela Cuccu
Il suo libro è un resoconto coerente, ma anche estremamente frazionato della Franciacorta. Non si può propriamente parlare di semplice zonazione geografica, bensì di un ritratto più profondo di una denominazione che come tale si rende portavoce di una collettività. “Dal momento che la tipicità di un vino si costruisce in generazioni – ci dice l’autore – l’elemento che tiene insieme le differenze è chiaramente sociologico ed è questo che consente di crescere con dei valori condivisi e non soltanto individualmente coltivati. Quello che ho voluto fare è cercare di guardare la Franciacorta ad altezza d’uomo, osservando il suo tessuto antropologico”.
Riconoscendo il suo indiscusso valore in qualità di critico ed esperto comunicatore, abbiamo intervistato Armando Castagno, docente presso l’Accademia Treccani nelle sue varie sedi nazionali. Il momento della conversazione si è rivelato in realtà l’occasione per un dialogo articolato e abbiamo voluto dare spazio ad alcune delle sue esaustive risposte.

Il libro ci offre una fotografia attuale di un contesto dove emergono ancora tracce del passato. Si ha la sensazione che alcune di queste ancora evidenti sfumature siano destinate a scomparire quanto prima. A fonte di questa considerazione quali sono le sue riflessioni più intime?
Credo che senza memoria non ci si possa elevare. Quando ci si trova davanti ad un paesaggio o ad una persona la prima cosa che viene da fare è chiedersi che cosa ci ricordano, cosa ci evocano. Nel libro racconto di molti incontri, ma non vi è alcun interlocutore che esiti a raccontare chi sia e da dove venga.
Un esempio è Suor Linda che, secondo me, è alla fine il personaggio più bello del libro; l’incontro con lei è stato del tutto imprevisto. Si tratta della religiosa custode del Santuario della Madonna della Rosa di Monticelli Brusati, uno dei tanti luoghi di culto presenti sul territorio attorno al quale l’azienda vitivinicola Castelveder possiede alcuni dei suoi vigneti e dove recentemente ha piantato delle nuove barbatelle di Pinot Bianco. All’interno del libro, oltre alla famiglia Alberti, si raccontano sul filo della memoria anche altri produttori come Maurizio Zanella, Vittorio Moretti, Paolo Rabotti o Riccardo Ricci Curbastro. Per me è stata un’occasione importante per dare voce a personaggi che, nella maggior parte dei casi, descrivono se stessi o vengono descritti soltanto attraverso il loro lavoro e il loro presente. Io ho cercato di farli parlare di tutto il resto, guardando al futuro e parlando del passato, ossia dei luoghi, metaforici o fisici, da dove provengono.
Estendo a questo punto la riflessione su quali siano le prospettive di questa denominazione di origine. Come vede il futuro di questo territorio?
La Franciacorta, in questo momento, è ancora un “terroir” in divenire, in costruzione, ma cammina spedito sulla strada per diventarlo appieno, mi sembra. Per parlare di futuro ci vuole una sedimentazione esperienziale di memoria da parte di più generazioni; faccio riferimento non solo a quelle umane, e dunque evidentemente a tutti coloro che girano attorno alla filiera del vino, ma anche alle generazioni dei vigneti, che stabiliscono una sinergia piena con il luogo fino a radicarcisi nel profondo, e a quel punto hanno imparato a donare, anno dopo anno, un vino inimitabile. Occorre secondo me pervenire alla sedimentazione di una comunità e dei suoi valori condivisi. Questa è un’enorme e straordinaria polizza di assicurazione sul futuro commerciale del vino, perché diventa veramente qualcosa di unico, proprio in quanto frutto del lavoro di una collettività che è a sua volta unica. Del resto non c’è un territorio del vino mondiale, nemmeno uno, che non abbia in realtà una solidissima cultura rurale alle spalle; in altri casi si osservano fenomeni effimeri, modaioli, in definitiva passeggeri. In luoghi come la Langa del Barolo e del Barbaresco, o il Chianti Classico, la cultura agricola e anche viticola intride le persone e intride, viene da dire, finanche le piante.

A chiusura del Suo libro è consultabile una bibliografia essenziale (preziosa per chiunque voglia approfondire o ritrovare le proprie conoscenze). In quale modo l’approccio letterario può avere influenzato il suo lavoro nel quotidiano?
Se guardo la libreria di casa mia mi scopro un divoratore compulsivo di libri di viaggio. Questo è il mio primo libro in chiave narrativa, in cui ho tentato di trasporre quello che mi piace di questo genere. Ovviamente non ho idea della riuscita del tentativo, né tocca a me stabilirla. Il mio obiettivo è perseguire un punto di vista neutrale e sincero. Mi piace l’idea di raccontare in presa diretta al lettore anche la mia meraviglia davanti a cose che non mi aspetto di trovare, e sono state parecchie. Il libro, insomma, non vuole essere una lezione sulla Franciacorta, tutt’altro: intende invece, in tutta onestà, raccontare cose minime, ciò che sta a latere, dietro le quinte di un posto che è così tanto in vista nel mondo del vino, così trionfale nella sua comunicazione. In fondo il successo del Franciacorta come vino è straordinario, considerando quanto poco tempo ci separa dal suo inizio, nei primissimi anni Sessanta. Questo territorio è diventato un punto di riferimento mondiale del metodo classico, sebbene piccolo e ridotto nelle quantità; ma brulica ancora, lungo le sue strade, di una civiltà rurale fatta di cose semplici, che nel racconto di un luogo così tanto celebre e celebrato rischiano di perdersi del tutto.
In tema di divulgazione dei contenuti vorrei dedicare una riflessione sull’editore del suo libro: Treccani è una realtà che ha dimostrato una certa capacità di evolversi, offrendo proposte e pubblicazioni sempre attuali e appetibili per il mercato. Da dove nasce questa collaborazione?
Accademia Treccani è un progetto didattico partito prima che io vi aderissi. Inizialmente la mia collaborazione era con la Giunti Academy, il cui ramo di impresa è stato assorbito da Treccani ed è così che mi sono trovato ad essere docente dell’Accademia. Ho continuato a fare quello che facevo prima, verificando un inatteso successo di pubblico legato a tematiche quali l’enografia, la viticoltura e l’enologia. Mi ha fatto particolarmente piacere perché significa che il vino, visto in un certo modo, è il fulcro di un sistema culturale complesso, e in quanto tale è del massimo interesse per Treccani. Io trovo che il vino si sia imposto in ambito didattico proprio quando è un pochino calata la sua vocazione ad essere solo un vettore edonistico ed è invece di converso aumentata la sua vocazione a raccontare storie più articolate e complesse. Il vino può essere una meravigliosa cartolina dai luoghi abitati e in quanto tale ha pieno diritto di sedere al tavolo con le altre culture materiali, realizzando anche qualche interessante cortocircuito con la cultura propriamente detta, ossia con l’arte, la letteratura, l’antropologia, le scienze geologiche e ambientali; persino con la filosofia.

Raffaela Cuccu
Laurea in Scienze dei Beni Culturali, Master in Comunicazione per il Settore enologico e il Territorio, Sommelier. Lavora nel cuore della Valpolicella presso l’ufficio marketing di una cantina vitivinicola.