I racconti di Pierpaolo Pasolini, le ricchezze della collina, alla scoperta di un territorio che regala profumi, sapori, gioia agli occhi e al palato
“Quando Ascoli era Ascoli, Roma era pascoli” non è una semplice frase fatta di orgoglio campanilista, soprattutto se la si estende al mondo del vino. Infatti le antiche radici di questa terra, a metà tra sogno e papato, sono un’indiscussa capitale vitivinicola che vede nel frammentato Piceno una sequenza di azioni e direzioni che guardano verso il futuro.
Gladiatori del mondo del vino, non a caso Russell Crowe da queste parti le sue origini, legati al picchio e alla natura che si muove lentamente attorno a loro. Il Piceno ha il proprio epicentro nella città di Ascoli, mentre ad Offida risiede la propria capitale morale.
Qui si annidano storie sconosciute ai più, raccontate da Pasolini e dai colori di Carlo Crivelli, che ne tratteggiano un modello di vita sano, laborioso e malinconico. Da queste stesse colline che toccano il mare, i sospiri di generazioni di viticoltori abbandonati dalle grandi opere e i riflettori puntati, hanno saputo integrare la propria conoscenza nella visione di un Piceno moderno.
Dalle opere di Cocci Grifoni alle nuove tendenze dettate da Numa, dalle sponde di Tenuta De Angelis alle colline di Clara Marcelli, penso si possa più che degnamente rappresentare l’areale Piceno grazie all’esempio di due aziende molto diverse tra loro: Velenosi e Il Conte di Villa Prandone.
Il timone dell’azienda è ben saldo, ma negli anni ho anche apprezzato l’intera squadra, in primis Marianna, donna forte quanto elegante, intelligente al punto da spaventare e quella incarnazione di una vecchia nobiltà, convertita alle esperienze, e i numerosi viaggi di questa giovane donna imprenditrice.
Rapiti dai Velenosi come da una pozione, tocca adesso fare i conti con la realtà, le strade che portano Ascoli al mare e le storie che qui hanno radici che affondano da generazioni. Sulle brezze dei monti Sibillini, il sale dell’Adriatico, e l’antico borgo di Monteprandone danno il benvenuto al proprio Conte, o meglio, Lu’ Kont.
Circondato da vigneti che si coricano sulle colline lui, che negli anni ha sviluppato anche un discreto pacchetto di enoturismo, accompagna la natura da grosse finestre che riflettono i suoi nuovi spazi in cantina.
Lui è Emmanuel, un profilo più simile a una rockstar di paese più che un vigneron, ma il suo sapere è saggio, le sue mani ruvide, i suoi pensieri attuali. Nel corso degli anni la sua cantina è passata da casa a ritrovo e adesso ad azienda, dove i suoi vini viaggiano e implorano una nuova direzione per il Piceno. Un buon padrone di casa che non dimentica il proprio attaccamento verso la maglia, o meglio, le origini.
È l’eroe popolare della comunità circostante alla ricerca del vino buono ma anche un ottimo compagno di quella generazione che l’ha visto crescere e poi emergere. Oggi la sua produzione è aumentata e gli esperimenti bizzarri non lo spaventano, ma la direzione sembra la stessa ereditata qualche anno fa, fare le cose fatte bene. È un classico esempio di impegno familiare all’italiana, dove gli attuali 50 ettari sono il motore per far viaggiare un brand e un nome ancora non colpito da congiunture o saturazioni di mercato. Sono sicuro sia questo il suo momento e visto l’affetto verso quelle persone dedite al fare, glielo auguro.
Andare via da questi posti non è semplice, e non perché in auto non sempre si imbocca la strada giusta del ritorno, bensì perchè nel Piceno ho respirato un’aria antica, fatta di intraprendenza genuina e sorsi di natura ben custodita.
Velenosi ne rappresenta il carattere, quell’inguaribile fascino che ha unito il romanticismo al senso pratico delle proprie azioni, diventando nel giro di pochi decenni uno dei principali player mondiali. Il Conte di Villa Prandone è invece l’anziano saggio che, generazione dopo generazione, riflette sull’opera maestra e tira le proiezioni future accompagnato dalle nuove leve.
Partiamo dunque in macchina, mezzi non ce ne sono, e deviamo dal percorso dando le spalle all’Adriatico per dirigerci verso Ascoli Piceno. L’uscita autostradale ci proietta, dopo pochi passi, su cocci fatti di storia, mura spesse, caseggiati in sequenza e ponti scenografici, ma è dopo un rettilineo, a metà tra brutalismo e cemento popolare, che la strada si alza per raggiungere la collina e poi, la vecchia Cantina.
Non nasce per ricevere gli ospiti, ma col tempo lo è diventata, tanto è l’amore di queste persone al servizio dell’utente. Velenosi è un sogno d’amore vissuto tra Patron Angela e l’opera monumentale costruita attorno a un Piceno oscuro e dimenticato. Pochi anni sulle spalle, quanto basta per intraprendere e poi sorprendere con la propria abilità unica, accompagnata da del genio creativo e ottime doti imprenditoriali. Angela è una leader che ha saputo guidare la squadra in lungo e in largo per il globo, toccando primati mai esplorati prima da questa regione. La linea è variegata, la produzione è estesa, sarebbe dunque fittizia ogni valutazione a voler semplificare i grandi passi in avanti portati in Azienda per collocarsi prima e posizionarsi poi su più logiche e richieste di mercato.
Resta il fatto che nel Piceno, a testimonianza di un blend storico che incrocia il Sangiovese al Montepulciano e alla rabbia il sapere, c’è una bottiglia che a voler riappacificare la citazione di apertura non parla di pascoli, ma di Giovanni Pascoli. Roggio del Filare è infatti un inno alla gioia composto in vigna e adagiato alle parole dell’autore romagnolo. Un incontro culturale riunito in una spessa, graffiante e profonda riflessione vitivinicola che sbuffa tannino e terziari, un vino apprezzatissimo dalla critica ma che accompagna anche la gioiosa convivialità di chi a tavola, sulla scelta del rosso, vuole cambiare sponda e dalla Toscana si sposta nelle Marche.
E se questo potrebbe sembrare un prodotto di punta “outsider” senza uguali, si può passare “verso sera” o da “ludi” per entrare nel Piceno da nord a sud, dalla collina al mare, con bottiglie che rappresentano una storia e sorsi di materia culturale.
Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all’estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.