Ricette virali e calici profanati: storia (tutta da leggere) di una generazione che sta diluendo la cultura del bicchiere
Illuminata dalla luce fredda del ring light, una giovane content creator si prepara al suo ultimo video. Trucco impeccabile, unghie laccate di verde salvia, il telefono perfettamente posizionato per catturare ogni dettaglio della sua “recensione”. Il rituale inizia come mille altri: il suono morbido del tappo che salta, il vino che scivola nel bicchiere come seta liquida, la caption “#winetok” già pronta per essere pubblicata. Eppure, c’è un piccolo colpo di scena. Mentre il vino si posa nel bicchiere, la ragazza allunga la mano verso il frigorifero con teatrale suspense, e… cosa sta facendo? Con un sorriso complice verso la telecamera, aggiunge un liquido blu elettrico al suo bicchiere di Pinot Nero. Gatorade, per l’esattezza. I suoi follower stanno per assistere all’ultima frontiera dei trend virali: il Gatorwine.
Sì, avete letto bene, e no, non è l’inizio di un film horror per enologi. Eppure, cari amanti del vino, quello che sta per seguire potrebbe richiedere un bicchiere di Barolo per calmare i nervi. In un’epoca in cui credevamo di aver già visto tutto – dal vino blu al rosé in lattina – sta accadendo qualcosa di ancora più terrificante. Ma il male, si sa, si nasconde spesso nei luoghi più insospettabili: questa volta, tra le pagine luminose di TikTok e Instagram. Qui, giovani content creator, armati di smartphone e una spregiudicatezza che farebbe tremare le cantine di Borgogna, stanno perpetrando quelli che potremmo definire solo come crimini contro l’enologia. Gli ingredienti sono i più disparati: parliamo di latte, sciroppi artificiali, e persino energy drink. Scene che farebbero sussultare di terrore qualunque sommelier e che stanno trasformando secoli di cultura vinicola in un festival degli orrori digitali, almeno a vedere il numero di like che questi video stanno accumulando.
La nostra storia dell’orrore ha un protagonista specifico: il Gatorwine, una miscela che farebbe rabbrividire persino il più coraggioso dei degustatori. Il concept è semplice quanto agghiacciante: vino rosso (rigorosamente sotto i 10 euro) miscelato con Gatorade al gusto “Glacier Freeze” – quello azzurro, per intenderci. Come in ogni film horror che si rispetti, tutto è iniziato con un video apparentemente innocuo: un utente YouTube, noto come “GoatsNowhere”, ha suggerito questa ricetta come “alternativa rinfrescante” al classico calice da condividere con gli amici. Il virus digitale si è poi diffuso quando Andrew Rea, celebre chef di YouTube meglio conosciuto come Binging with Babish, ha documentato il suo primo sorso con l’espressione di chi ha appena assaggiato un Sassicaia trasformato in sangria.
“Il Gatorwine è una specie di ‘calmante’ per il vino, per le persone che normalmente non lo bevono” – dai commenti social ai contenuti di Binging with Babish
Ma oltre l’apparente scherzo dell’orrore, questo trend ci rivela qualcosa di più inquietante sulla generazione Z e il suo rapporto con il vino. Incapaci di affrontarne la complessità, questi giovani consumatori sembrano aver bisogno di “diluire” non solo il vino, ma l’intera esperienza che rappresenta. È come se il terrore di confrontarsi con secoli di cultura enologica li spingesse a trasformare qualcosa di sofisticato in una bevanda “approcciabile”, un drink da TikTok privo di personalità.
A far rabbrividire i veri cultori del vino non è tanto la miscela in sé, quanto ciò che rappresenta: la perdita di un rituale significativo, sostituito da una performance social. Questi giovani consumatori, intrappolati tra il desiderio di apparire sofisticati e la paura di confrontarsi con la complessità del vino, creano un ibrido culturale che è tanto virale quanto vuoto. È la manifestazione di una generazione che preferisce rendere tutto più “leggero” – non solo in termini di gradazione alcolica, ma anche di significato culturale.
Ma forse, come in ogni buon horror, c’è una possibile redenzione. Questi trend, per quanto inquietanti, potrebbero essere il sintomo di un bisogno più profondo: quello di democratizzare il mondo del vino, di renderlo meno intimidatorio per le nuove generazioni. Mentre i sommelier si fanno il segno della croce e i produttori tradizionali chiudono a doppia mandata le porte delle loro cantine, forse è il momento di chiedersi: è questo il prezzo da pagare per mantenere il vino rilevante nell’era dei social? C’è un modo per preservare la profondità della cultura enologica senza trasformarla in una scenetta da TikTok?
Dietro la facciata shock del Gatorwine infatti si nasconde una verità più complessa e meno sensazionalistica: i giovani si stanno allontanando dal vino, e non solo per ignoranza o per il gusto della provocazione social.
Da un lato, c’è una generazione sempre più attenta alla salute, che vede nel consumo di alcol non più un simbolo di sofisticatezza ma un potenziale rischio per il benessere. Dall’altro, c’è un evidente gap culturale: il mondo del vino, con i suoi rituali e il suo linguaggio spesso ermetico, può apparire come un club esclusivo con troppe regole e troppo poca inclusività.
I trend “sacrileghi” di TikTok, per quanto possano far inorridire i puristi, sono forse il campanello d’allarme più rumoroso – e colorato – che il settore vinicolo poteva ricevere. Un segnale che richiede non tanto indignazione quanto una seria riflessione: come può il mondo del vino evolversi per parlare a una generazione che ha un rapporto completamente diverso con il bere, con la socialità e con le tradizioni?
La sfida per produttori e consorzi non è quella di inseguire le mode di TikTok o di sdegnarsi per un bicchiere di Gatorwine. È piuttosto quella di trovare un nuovo linguaggio, nuovi formati e nuove modalità di consumo che possano preservare l’essenza della cultura enologica rendendola al contempo più accessibile e rilevante per i giovani consumatori. Che si tratti di vini a bassa gradazione, di formati più sostenibili o di esperienze di degustazione ripensate per l’era digitale, l’importante è che il dialogo non si interrompa.
Perché sì, vedere del Gatorade blu versato in un calice di vino può far venire i brividi a qualsiasi appassionato. Ma sarebbe molto più spaventoso un futuro in cui le nuove generazioni vedessero il vino solo come un reperto da museo, un’eredità culturale troppo distante per essere davvero apprezzata.
Nel frattempo, da qualche parte, in una cantina illuminata da un ring light, un giovane produttore sta pensando a come raccontare la storia millenaria del vino usando il linguaggio di domani. E forse è proprio questa la vera magia del vino: la sua capacità di evolversi e reinventarsi, pur mantenendo intatto il suo spirito. Senza bisogno di Gatorade.
Emma Pagano
Emma Pagano, italo-americana, pratica l’amore per le parole in due lingue, tra comunicazione, traduzione e organizzazione di eventi culturali. Responsabile della Comunicazione di MWW Group, coordina il progetto Vendemmie assieme al team.