Chef e sommelier del 50 Seconds di Lisbona: “La nostra cucina è narrazione. I giovani bevono meno e bevono meglio: per questo gli abbinamenti analcolici non sono alternative, ma esperienze complete”
di Alessandra Meldolesi
Cinquanta secondi: è questo, cronometro alla mano, il tempo che serve per guadagnare una vista indimenticabile sulle luci di Lisbona e sulla vastità dell’oceano dentro l’ascensore della Torre Vasco Da Gama, costruita in occasione di Expo ‘98. Se ne può avidamente godere dai tavoli panoramici del ristorante chiamato appunto “50 Seconds”, situato all’ultimo piano e già dimora di Martin Berasategui, che vi ha agilmente conquistato la stella. Poi la proprietà ha scelto di puntare su un talento nazionale: Rui Silvestre, più giovane stellato del paese in Algarve, che vi ha trapiantato la sua cucina elegante e tecnica, dove il Portogallo non è mero prodotto o tantomeno repertorio, ma romanticismo e oceano, nostalgia e slancio romantico, esplorazione intrepida e ragionata dell’ignoto. Il pasto si struttura così come una sequenza di quattordici assaggi che partono alla scoperta di associazioni spiazzanti, sulle tracce del Vasco Da Gama eponimo, ma anche di memorie d’infanzia e retaggi familiari, da parte della nonna indiana come della mamma mozambicana. Con lui brilla un altro giovane talento portoghese: Marc Pinto, nato a Reims, nella culla dello Champagne, e cresciuto professionalmente all’Enoteca Paco Perez e al Lasarte Barcelona, tre volte migliore sommelier del Portogallo, recentemente premiato anche dalla rossa.

Pinto: Sono arrivato al Fifty Seconds nel 2018, quando c’era ancora Berasategui, cogliendo la sfida di costruire la cantina da zero. La carta dei vini mancava, ma avevamo una visione e la fiducia di forgiarla. Per me un privilegio. Ho quindi iniziato dalle grandi referenze: Portogallo, Francia, Spagna, Italia. Ma sempre con un principio guida: ogni vino doveva svolgere una funzione. Non volevo impressionare, ma emozionare. Oggi abbiamo circa 8000 bottiglie, custodite con cura. Il focus è sui produttori che rispettano il loro territorio, su vini precisi e spesso poco conosciuti, che sorprendano con la loro autenticità. Si tratta di una carta viva, in costante evoluzione come la cucina.
Silvestre: Il vino rappresenta l’estensione naturale del mio lavoro. Proprio come un piatto, deve possedere equilibrio, texture, acidità, intensità. Il calice giusto aiuta a raccontare la storia del menu, per contrasto, in armonia o attraverso il potere dell’evocazione. E in questo Marc è un complice ideale.
Pinto: La cucina di Rui è al tempo stesso delicata e precisa. Riposa sulla purezza del gusto, un condimento sicuro ma sottile e una tecnica in grado di onorare qualsiasi ingrediente. Questa limpidezza chiama vini altrettanto ben definiti, dotati di freschezza e tensione, che non sovrastino, ma dialoghino col piatto. Possono rispecchiare gli ingredienti o entrare in contrasto, costruendo una narrazione sensoriale. Le bottiglie più adatte sono dotate di eleganza, identità e un’acidità ben disegnata, a volte possono avere profili affilati, altre volte sono più rotonde.
Silvestre: Con Marc e la squadra dei sommelier lavoriamo in stretta collaborazione sui pairing. Ogni nuovo piatto viene assaggiato con diversi vini, discutiamo quale funzioni meglio, sorprenda il palato o esalti il gusto. Teniamo sessioni di degustazione, certamente, ma anche molte conversazioni, perché alla fine si tratta di costruire insieme una narrazione. I pairing sono parte del processo creativo fin dalle prime battute, quando la ricetta è largamente incompiuta.
Pinto: Ogni abbinamento inizia dalla lettura approfondita del profilo sensoriale del piatto. Prendiamo le mosse dall’analisi della sua struttura (consistenze, intensità, acidità, dolcezza, untuosità, profondità aromatica). Solo allora cerchiamo un vino che offra un rispecchiamento, un contrappunto e talvolta perfino una sorpresa. Da Fifty Seconds evitiamo le scelte scontate, cercando calici che aggiungano qualcosa di nuovo al piatto. Ogni abbinamento è concepito come un capitolo di una narrazione epica ed è il motivo per cui presentiamo sempre tre proposte: una da Lisbona, l’altra da tutto il Portogallo e la terza dal resto del mondo. Sono tre modi per raccontare la stessa storia, con un accento di volta in volta differente. È vero che soprattutto fra i giovani assistiamo a un calo nei consumi di vino, ma mi sembra più una trasformazione che un declino. Oggi gli ospiti cercano esperienze più consapevoli, non vogliono bere per il gusto di bere. I nostri abbinamenti analcolici riflettono questo cambiamento. Lavoriamo con kombucha, infusioni, preparazioni fermentate e soprattutto vini dealcolati, bevande queste che rispettano il piatto e offrono una reale complessità. Non sono mere alternative, ma percorsi completi con la loro identità a sé stante. Spesso riusciamo a sorprendere ospiti che sono abituati al vino ed è interessante che queste opzioni vengano poi confermate. Per noi è un nuovo modo di dare piacere.

Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent’anni.