Al bistellato romano il beverage dialoga con la cucina: “Oggi almeno un tavolo su 5 ordina un calice alcohol free, cerchiamo sempre di offrire un’alternativa”
di Alessandra Meldolesi
Meriterebbe da tempo i massimi onori, Anthony Genovese, chef che al Pagliaccio di Roma ha sviluppato in oltre vent’anni una cucina estremamente personale, capace di sublimare la materia grazie a una sensibilità laterale e a una cassetta degli attrezzi globale. Ma non chiamatela fusion: “È una parola che non mi è mai piaciuta. Piuttosto è la cucina di un italiano nato in Francia, che ha vissuto all’estero e che porta nel piatto il suo bagaglio”. Storicamente affiancato da uno dei migliori sommelier italiani, Matteo Zappile, oggi promosso a direttore, dal 2008 si appoggia in cantina a Luca Belleggia, che in via dei Banchi Vecchi lavora da 8 anni, prima in veste di assistente, poi quale plenipotenziario in cantina.
Genovese: Personalmente ho un bellissimo rapporto con il vino. Non lo conosco più di tanto, ma lo apprezzo con parsimonia, sia come aperitivo che durante i pasti. Da quando nel 2003 ho aperto il Pagliaccio, sono sempre stato affiancato da ottimi professionisti: Daniele, Gennaro, Matteo e Luca hanno avuto carta bianca su tutto, a parte le spese, e hanno saputo seguire egregiamente la cucina. Anche se adesso c’è un po’ meno challenge, perché conoscono bene me e i miei piatti.
Belleggia: Quella del Pagliaccio è una cucina molto creativa, che evidenzia alcune complessità sotto il profilo degli abbinamenti. Nel corso degli anni la sinergia è andata crescendo e ci è sempre più chiara la direzione comune che dobbiamo percorrere per offrire più che l’abbinamento perfetto, un’esperienza piacevole nella sua interezza. Lavorando prevalentemente su menu degustazione, il focus è il quadro generale, con l’obiettivo della massima soddisfazione. Al mio arrivo ho trovato una cantina ottimamente impostata, che ho cercato di migliorare nella profondità di annate e nella sezione delle bollicine italiane e francesi, complice la richiesta crescente, cosicché su 1500 referenze e 10mila bottiglie, oggi abbiamo quasi 300 produttori di Champagne. La bolla infatti è sempre un buon compromesso e un ottimo passepartout, capace di togliere le castagne dal fuoco. Mi sono mosso in continuità con Matteo anche nell’attenzione verso i trend del mercato, non per moda, ma per la curiosità di cercare nuove formule. Può trattarsi di sakè, spirits o birre, ultimamente anche bevande alcohol free, che approcciamo con rispetto e attenzione per le vendite in ascesa e per le necessità indotte dai recenti cambiamenti normativi, che configurano un nuovo bisogno da soddisfare. Per questo abbiamo predisposto anche un percorso di degustazione analcolico, composto di miscelati, kombucha, centrifugati e tè, nella convinzione che ci debba sempre essere un’alternativa pronta. Per quanto riguarda i vini dealcolati, il mercato è già aperto da tempo, oggi è anzi in grande crescita, tanto che avrà il suo spazio al prossimo Vinitaly. Cinque anni fa la richiesta era nulla, oggi fino a due tavoli su dieci ordinano almeno un calice alcohol free, anche se c’è ancora tanta strada da fare. I vitigni sono quasi sempre gli stessi e i prodotti finali restano lontani dall’offrire caratteristiche comparabili in termini qualitativi. Le aziende sembrano aver trovato un canale redditizio grazie a prodotti che non costano molto meno, il cui rapporto lavoro redditività appare talvolta un po’ sbilanciato.
Genovese: Personalmente amo bere Borgogna come il Montrachet, ma anche grandi rossi come il Barolo e ho un debole per i vini siciliani. Matteo e Luca mi fanno spesso assaggiare qualche calice. Soprattutto quando esce un piatto nuovo, mi guardano in modo interrogativo: “E adesso che ci mettiamo?” Un gioco che nel tempo è diventato stuzzicante. Da qualche mese abbiamo cominciato a stampare il menu, standardizzando un po’ l’esperienza, ma purtroppo non tutti i clienti si lasciano consigliare sul pairing.
Belleggia: Spesso io e Matteo veniamo a sapere in anteprima che lo chef sta creando un piatto nuovo, seguiamo la sua evoluzione e a volte ci viene chiesto consiglio. Iniziamo a maturare le nostre idee su cosa potrebbe funzionare fino all’assaggio ufficiale, allora prendiamo appunti e partiamo con qualche prova per tipologia e poi per espressione specifica. Negli ultimi anni abbiamo lavorato anche alla personalizzazione delle etichette: il progetto pilota è stato uno Champagne, poi siamo passati al Sauvignon e al Barbaresco con Pio Cesare. Si tratta di lotti da 300 bottiglie in edizione limitata, che creano esclusività al tavolo, perché è qualcosa che si può bere solo qui. I nostri degustazione sono lunghi, da otto a dieci portate, e non vogliamo sovraccaricare l’ospite, quindi proponiamo pairing da 3 o 6 calici, più l’abbinamento analcolico e una sezione dedicata al Coravin.
Genovese: Alla fine assaggiamo il pairing insieme e devo dire che spesso mi stupisce. L’ultimo è stato il Marsala su un manzo col brodo, quindi un grande classico reinterpretato in chiave moderna. Noi non cuciniamo e abbiniamo per l’effetto wow, alla mia età evito le forzature in favore della piacevolezza per gli ospiti. Voglio trasmettere emozioni e tranquillità.
Belleggia: Quando gli piace il pairing, poi, Anthony chiede sempre la bottiglia per casa. Allora capiamo che è andata davvero bene.
Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent’anni.