Da Caino, nonostante il nome, i rapporti familiari sono ottimi: mamma Valeria e il figlio Andrea raccontano la loro idea di ristorazione
di Alessandra Meldolesi
Valeria Piccini è la grande dame della cucina italiana. Se fino a qualche lustro fa erano diverse le cuoche ai vertici della nostra gastronomia, oggi per Michelin solo la sua grande cucina, da Caino a Montemerano, vale due stelle. E si capisce facilmente il perché. Dotata di un formidabile talento naturale, completamente autodidatta su fondamenta gustative di matrice contadina, Valeria è tanto generosa quanto curiosa e capace di stupire, soprattutto trasmette come nessuno l’ethos e l’epos della Maremma profonda, in chiave sempre contemporanea. Al suo fianco fin dagli esordi nel ristorante di famiglia, il marito Maurizio ha costruito una cantina di eccellenza e oggi produce il suo vino. A raccogliere il pesante tastevin è stato il figlio Andrea Menichetti, coadiuvato dal sommelier Federico Trusendi. Mentre dal 2020 in cucina c’è il sous-chef Massimo Deinnocenti, che ha compiuto esperienze alla Ciau del Tornavento e in Svizzera.
Piccini: Sono entrata da Caino nel 1977, a vent’anni. Ai tempi era una trattoria, dove mia suocera Angela cucinava i piatti della tradizione maremmana. Ed è stata la mia prima maestra, poi mi sono messa a studiare per i fatti miei. Maurizio, che non voleva proseguire gli studi, aveva iniziato a 14 anni in quello che originariamente era un bar, dove si vendeva vino sfuso. Poi anche lui si era messo a girare, studiare e fare esperienze, soprattutto in Francia e in Piemonte. Siamo rimasti soli nel 1986, quando mio suocero è mancato e mia suocera si è ritirata. Così pian piano abbiamo iniziato a cambiare. Prima da queste parti il turismo era diverso, la gente veniva per le terme e passava anche ogni sera. Ma tutti proponevano le stesse cose e il repertorio finiva in fretta, così abbiamo avuto voglia di cambiare. La prima stella è arrivata nel 1991, la seconda nel 1999.
Menichetti: A 14 anni ho iniziato a lavorare anch’io, ma in sala; poi quando sono entrato in società, sono passato in cucina dal 1999 al 2007, perché i miei genitori volevano che maturassi una visione globale. Alla fine però sono tornato in sala, perché amo il rapporto col cliente e perché c’era bisogno. Ed è più facile controllare la cucina dalla sala che viceversa. Il rapporto col vino è stato un tuffo: mi hanno buttato dentro a lavorare e mio padre mi ha trasmesso la passione. Abbiamo sempre avuto una carta molto importante, con tante referenze prestigiose, tutte comprate da noi, e grandi verticali di toscani e piemontesi. Cosicché nel 2000 avevamo il Monfortino anni ’70. Oggi sono in tutto 24mila bottiglie e 2600 etichette, con tanta Italia, tanta Francia e anche un po’ di resto del mondo. Ho condiviso la cantina con mio padre dal 2005 ed è passata nelle mie mani dal 2016. Ma la continuità è totale: la selezione resta molto personale, senza seguire le forzature delle grandi case.
Piccini: Io non ci ho messo mai bocca perché sono astemia, quindi per me l’abbinamento non esiste. Anzi, come si dice da noi, buono con buono fa migliorino.
Menichetti: Il sommelier sa cosa c’è in cantina e cosa meglio si abbina. Avendo tanta profondità per tipologia, non è difficile comporre percorsi di 8-10 calici, ma in genere ci piace che ognuno copra un paio di piatti, per non sovraccaricare di sensazioni e per lasciare materia nel bicchiere, anche se può esserci l’abbinamento del secolo e allora va provato. I pairing li facciamo io e Federico, poi se siamo indecisi chiediamo a Maurizio, ma di rado. Lui tra l’altro non crede nel pairing, quindi preferisce pasteggiare con una bottiglia.
Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent’anni.