Far ricchi i francesi è il nostro hobby: preferiamo il Louvre agli Uffizi… Tutti i numeri del nostro vino
di John Wilmot
Partiamo da un presupposto: il grande problema è che gli uomini non vogliono essere utili, ma importanti.
Riporta un recente comunicato stampa di Wine News: “Difficoltà sul mercato ci sono, ma i grandi vini, anche nel fuoricasa in Italia, alla fine sembrano tenere. Come confermano i numeri del fatturato delle 21 aziende di Excellence Sidi, guidata da Luca Cuzziol, che, intanto, decide di spostare da Modena a BolognaFiere la sua “Champagne Experience”, che, dalla sua edizione n. 8, sarà di scena il 5-6 ottobre nella “Città delle Due Torri”.
Una decisione che arriva a seguito di un anno difficile per il mercato del vino, che riunisce 21 tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini d’eccellenza – Sagna, Gruppo Meregalli, Cuzziol Grandivini, Pellegrini, Balan, Sarzi Amadè, Vino & Design, Teatro del Vino, Proposta Vini, Bolis, Les Caves de Pyrene, Premium Wine Selection PWS, Ghilardi Selezioni, Visconti 43, Première, AGB Selezione, Philarmonica, Spirits & Colori, ViteVini, Apoteca, Ceretto Terroirs – il cui “giro d’affari è rimasto pressoché stabile, registrando un valore di oltre 327 milioni di euro per oltre 23 milioni di bottiglie. Oggi Excellence Sidi rappresenta una realtà di oltre 370 dipendenti e oltre 2.000 agenti che operano su tutto il territorio nazionale, rappresentando e distribuendo 2.185 aziende, di cui 2/3 estere e 1/3 italiane”, spiega una nota”.
Andiamo di matematica: 327 milioni di fatturato spalmati su 21 aziende mi fa riportare sullo schermo della calcolatrice poco più di 15 mln di euro a distributore; considerando che il Gruppo Meregalli è sicuramente il più grande ed importante in termini di volumi e fatturato tra i partecipanti a questo consorzio di associati, mi sembra un fatturato un po’ magrino per un’Italia della distribuzione che ambisce ad essere annoverata tra le super-potenze del vino.
Torniamo ai numeri: 23 milioni di bottiglie per 21 aziende. Ecco che ancora la matematica ci corre in soccorso e ci suggerisce che il risultato fa poco più un milione di bottiglie a distributore: anche qui i numeri non reggono.
Il fatturato dei produttori di vino italiani nel 2024 è stato di circa 14,5 miliardi di euro, pari al 5% del fatturato totale mondiale.
Le esportazioni di vino italiano nel 2024 hanno più o meno raggiunto gli 8 miliardi di euro, le vendite del vino italiano in Italia (escluse le importazioni) ammontano a 6,5 miliardi di euro oltre alle importazioni.
Le vendite dirette al consumatore (online e presso le cantine) ammontano a 1,5 miliardi di euro invece le vendite off-trade (produttori diretti) a 3 miliardi di euro.
Il canale Ho.Re.Ca. in Italia ammonta a 2 miliardi di euro, di questi solo 327 mln sono generati dai 21 distributori (o cataloghi, perché la differenza è sostanziale) più in voga in Italia? Lascio a chi di dovere questa analisi economica, è un mestiere che onestamente non mi compete.
Proseguiamo con la sfilata dei numeri: si è parlato di 2.000 agenti, posso immaginare plurimandatari, ma non stiamo parlando di distributori? Il modello distributivo del vino nato in Francia e poi affinato nelle Americhe reciterebbe: un distributore di vino è colui che si avvale di agenti propri che lavorano solo e per conto di un committente. Non è così?
La cosa che più inquieta in tutto ciò, è il tratto finale del virgolettato raccontato dal sito del buon Regoli: “2.185 aziende distribuite dei quali 2/3 estere (ricorro nuovamente alla matematica quindi parliamo di 1.456) e 1/3 italiane (729)”.
Quindi se analizziamo nei dettagli lo stato dell’arte commerciale vinicolo, non parliamo di distributori italiani bensì di “importatori”, allora la partita di poker al tavolo verde si fa ancora più interessante.
Leggiamo nuovamente i numeri: deduco a questo punto che in Italia l’hobby per eccellenza sia arricchire principalmente (sono solo supposizioni le mie …) i nostri cugini d’Oltralpe, loro si arricchiscono, noi ci impoveriamo, come dire: andiamo al Louvre e non agli Uffizi.
Dalla fine degli anni ’80, il 65% dei nostri migliori vini partono per un bel viaggio all’estero con un biglietto di sola andata in first class principalmente verso gli USA, grazie ai rating di mostri sacri – all’epoca – come Parker e successivamente Wine Spectator.
In Italia, oltre ai rimasugli di un mercato che lascia sul piatto le lische di un pesce abbondante e molto succulento, amiamo arricchire pesantemente altri paesi tra l’altro nostri principali concorrenti sul mercato internazionale, furbi eh?
Siamo tra i 5 paesi al mondo con il più altro consumo di Champagne, notevole! Bravi!
Proviamo a prendere in mano la guida dei Vini d’Italia del Gambero Rosso, iconica rappresentate dell’eccellenza enoica italiana, simbolicamente rappresentata dai tre bicchieri.
Nell’ultima edizione sono stati sfiorati i 500 tre bicchieri. Più della metà non hanno distribuzione sul suolo italiano, come mai? Troppo piccoli, geograficamente frammentati e non in grado di creare massa critica.
Però se parliamo di assegnazioni di non più di 18 bottiglie di vini provenienti dalla Borgogna di qualche produttore mito, in mano a distribuzioni boutique e riversate sul mercato italiano con margini più che assurdi, strozzando il cliente con obblighi di acquisto fuori contesto, allora va tutto bene, sì va tutto bene.
Torniamo per un attimo all’articolo di Wine News che scrive: “Champagne Experience, per due giorni, sarà a BolognaFiere, in un “palcoscenico per poter approfondire la conoscenza del mondo dello champagne grazie alla ormai consueta presenza di centinaia di etichette in degustazione di storiche maison e piccoli vigneron. Le oltre 6.000 partecipazioni a Modena certificano la presenza di una platea sempre più numerosa e qualificata, pronta a dedicare attenzione e tempo alla conoscenza e all’approfondimento dello Champagne” aggiunge Pietro Pellegrini, vicepresidente Excellence Sidi. Che aggiunge: “la decisione di spostare la “Champagne Experience” a Bologna rappresenta un passo importante nel piano di sviluppo, ma anche delle attività di Excellence Sidi, presenti e future”.
Cambio di location, ma anche di date. Si è tenuto conto di altri appuntamenti programmati con largo anticipo? Credo siano stati totalmente ignorati, ad oggi ci troviamo con manifestazioni sovrapposte e geograficamente distanti. Mancanza di correttezza o superficialità?
Troppi incontri, troppi eventi accavallati e mal comunicati generano solo confusione in un settore che storicamente non brilla di coerenza ed organizzazione.
Che cos’è il gentiluomo? Un uomo che rivela signorilità e distinzione, estrema correttezza e lealtà nei rapporti umani e sociali. Ecco, forse ci siamo persi un po’ di quella galanteria anche nel mondo del vino, perché queste sono cose che onestamente non si fanno.
C’è un’altra domanda che mi pongo: cosa ne pensano le maison francesi non presenti alla Champagne Experience, perché non associate al gruppo Excellence Sidi (quindi, immagino distribuite da altri distributori)? È una fiera approvata tra l’altro dalla Francia e dai suoi uffici preposti?
Non sarò certo io a dare risposte, ma da buon consumatore e studioso del mercato del vino, posso dire che questa è la nostra Italia, un Paese dove manca la profondità.
Scrisse Indro Montanelli: “In una conferenza stampa a Nuova Delhi, Henry Kissinger ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche 55 milioni di italiani, compresi coloro che la fanno”.
Anche la politica del vino italiana è complicata.