Il Vignaiolo indipendente, ovvero individualità, senso collettivo e previsioni
di Nello Gatti
Quarantacinque anni, di cui oltre 20 trascorsi da Vignaiolo Indipendente: è Lorenzo Cesconi, erede di Matilde Poggi nella guida della Federazione dal 2022. In possesso di un know-how prudentemente applicato nella propria Cantina grazie alle esperienze maturate tra California e Nuova Zelanda, il Presidente FIVI è anche la voce di una famiglia sempre più numerosa che acquisisce sempre più autorevolezza e competenza nella filiera del vino italiano. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’anteprima di “Gradi”, il reportage che racconta il vino italiano ai tempi del cambiamento climatico.
Lorenzo, abbiamo assistito a un reportage sul vino italiano che racchiude nella parola “Gradi” i suoi molteplici significati. Secondo la voce dei produttori, quali sono per l’appunto i gradi da tenere sott’occhio con maggiore attenzione?
Il titolo di questo reportage realizzato da Will Media in collaborazione con FIVI è volutamente “polisemico”. Parliamo di cambiamento climatico, quindi inevitabilmente la mente va prima di tutto ai gradi celsius e al loro preoccupante aumentare, in media, di anno in anno. L’aumento medio delle temperature non condiziona solo le fasi di maturazione delle uve, con vendemmie sempre più anticipate, o con la proliferazione di vecchie e nuove fitopatie, ma è ormai assodato che ci sia una correlazione anche con i fenomeni meteorologici estremi che purtroppo non rappresentano più una drammatica eccezione, ma una preoccupante normalità. Le temperature in aumento incidono anche sui gradi alcol, interrogandoci da un lato sulla necessità di innovare le tecniche agronomiche, in una logica di mitigazione e adattamento, dall’altro su come rispondere a dinamiche di mercato e a nuovi modelli di consumo che forse non abbiamo ancora del tutto interpretato. Ma parlando di “gradi” mettiamo l’attenzione anche sulle pendenze dei vigneti che i vignaioli coltivano: come emerso dalla recente indagine Nomisma – Wine Monitor, una delle principali esternalità positive collegate all’attività dei Vignaioli indipendenti Italiani è dato dal fatto che l’81% dei vigneti che coltiviamo si trova in collina e in montagna, rispetto al 60% della media italiana, vale a dire in quelle “aree interne” sempre più fragili e a rischio abbandono. Insomma, abbiamo provato a offrire non solo agli appassionati di vino, ma a tutti i cittadini e le cittadine interessate al futuro dell’agricoltura italiana ed europea, una riflessione ad ampio raggio, partendo dalla nostra esperienza e dalle nostre competenze.
Essere la voce di un manifesto che raccoglie le esigenze variegate e talvolta asimmetriche di oltre 1700 vignaioli riesce a raggiungere finalità di crescita comune e collettiva? Quali sono i temi che state affrontando in maniera univoca?
Parafrasando Pirandello, possiamo dire che i Vignaioli indipendenti italiani sono “uno e centomila”, perché in effetti al nostro interno ci sono spesso differenze molto significative in termini di modello aziendale e di dimensioni. Ma con orgoglio possiamo dire che non siamo più “nessuno”, perché in questi anni FIVI è cresciuta come soggetto collettivo riconosciuto e imprescindibile quando si parla di strategie del sistema vitivinicolo. Dico di più: ho la sensazione che in un futuro non troppo lontano saranno proprio le aziende vitivinicole verticali ad affermarsi come il modello più in grado di rispondere alle sfide produttive e di mercato. Per questo motivo stiamo lavorando perché nella PAC post 2027 al centro ci siano risposte adeguate al climate change e il riconoscimento dell’importanza delle piccole imprese, facilitandone l’accesso alle misure di sostegno. È necessario aggiornare le misure settoriali, che prevedono al loro interno degli strumenti preventivi, ma vanno strutturati in modo più efficace anche gli strumenti di gestione del rischio: i fondi sono insufficienti e le misure disponibili non sono più idonee. E non possiamo dimenticare la ricerca, che deve essere indirizzata dall’interesse pubblico, in piena trasparenza, non prendendo in considerazione solo le nuove tecniche genetiche, ma anche alternative per metodi agronomici tradizionali. In ultimo, ribadiamo allo sfinimento che questo processo non avrà nessun esito positivo se alla base non ci sarà una riflessione a livello nazionale sulle rese, intervenendo in modo coraggioso sui disciplinari di produzione, e sui criteri per il rilascio delle autorizzazioni, prendendo in considerazione aspetti come la verticalità aziendale, la sostenibilità e le giacenze. Al momento il modello produttivo continua a basarsi su quantità e volumi, e quindi è paradossale che gli stessi soggetti che contribuiscono al disequilibrio produttivo poi richiedano contributi per l’estirpo e la distillazione di crisi: è ora di mettere in discussione il nostro modello e smettere di ostinarci a fare quel che si è sempre fatto, affrontando con realismo le problematiche del settore. Servono coraggio e intraprendenza, da parte di tutti, in primis la politica, ma anche da parte dei soggetti della filiera.
Un occhio verso i mercati. Lontano dai giri d’affari che dettano tempi diversi da quelli della natura, si stanno aprendo nuove strade verso categorie di prodotto o tipologie di servizi in linea con le nuove domande di mercato?
L’indagine Nomisma ci ha rivelato che oltre l’80% delle aziende associate offre servizi per gli enoturisti, in particolare visite guidate con degustazioni. I ricavi derivanti dai servizi enoturistici incidono per il 23% sul fatturato complessivo dei Vignaioli, contro una media nazionale del 18%: se aggiungiamo che il 46% dei turisti che annualmente visitano le nostre aziende sono di origine straniera, possiamo dire senza timore che il modello aziendale dei Vignaioli indipendenti dà un contributo fondamentale alla tenuta socio-economica delle aree rurali. Stiamo parlando per altro di un fattore di sviluppo che può contribuire concretamente alla riduzione di quell’overtourism che negli ultimi anni sta portando effetti negativi negli equilibri sociali delle città italiane. Per questo stiamo chiedendo un intervento sul fronte europeo, per realizzare una misura di promozione realmente accessibile anche alle piccole imprese e un sostegno alle attività enoturistiche, fondamentali in questo frangente storico anche per un’educazione al consumo consapevole.
Infine, un desiderio: come vedi la FIVI di domani?
Non ho desideri, ma solide certezze, perché sono sicuro che l’associazione sia ormai matura per poter affrontare ogni questione, in ogni momento, senza paure ma con il giusto mix di responsabilità e coraggio. Mi prefiguro quindi un’associazione in crescita, punto di riferimento fondamentale per tutte le aziende vitivinicole verticali italiane, capace di dialogare alla pari con gli altri soggetti della filiera e di interloquire in modo efficace con le istituzioni, a livello regionale, nazionale ed europeo. Un’associazione che riesce a comunicare al consumatore l’importanza del mestiere del Vignaiolo non solo per la qualità dei nostri vini, ma per il nostro ruolo sociale, economico e culturale nei diversi territori in cui operiamo: come “gradi”, anche “vignaiolo” è un termine polisemico, ed è compito di FIVI raccontare i diversi significati che lo contraddistinguono.
Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all’estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.