Per 9 giorni il Dazio di Levante all’Arco della Pace è stato luogo di incontro aperto e dinamico dove giovani e veterani del vino hanno condiviso esperienze, conoscenza e passione
di Nello Gatti
Mura spesse, soffitti alte, un arco della pace all’esterno e un teatro di mille battaglie al nostro interno, questa è stata l’Enoteca di Milano Wine Week. L’ho vista così, vicina e democratica nei confronti degli avventori e riflessiva nel rispetto delle tematiche legate al mondo del vino. Tra queste le più ricorrenti: avvicinare le nuove generazioni, cambiare il registro di comunicazione, favorire l’integrazione degli attori. Tante belle parole che, si sa, sono spesso destinate ai titoli o ai dibattiti ma poco percepibili nelle azioni, ad eccezione di questo spazio nato proprio per contenere ogni profilo, proveniente da ogni luogo o expertise, nel sano e sincero contributo verso la conoscenza del mondo del vino. È proprio questo che amo di Enoteca, quel suo essere “democratica” nei confronti di chiunque, nei trascorsi 9 giorni dell’ultima edizione di Milano Wine Week, abbia varcato quella soglia. E una volta lì, nessun pregiudizio, nessuna imposizione, ognuno poteva vivere la propria esperienza di degustazione in sintonia con il proprio mood e i propri canoni, in solitaria così come in gruppo, perchè il mondo del vino non deve imporsi come ideologia o retorica culturale, bensì come punto di confronto, consapevolezza, piacere e scoperta. Lo abbiamo trasmetto ogni giorno, con una selezione di etichette presenti nei distributori automatici, i WineEmotion, e una rotazione di vini che provenivano dalla seconda edizione della guida Wine List, ovvero una raccolta curata dai 100 migliori sommelier d’Italia. Ma abbiamo anche fornito il giusto accompagnamento a chi preferiva un consiglio, con un sommelier stabile nella postazione dedicata alle bollicine e un altro che girava a supporto degli utenti.
E per non far mancare i momenti di conoscenza e formazione, ogni giorno andavano in scena gli incontri con i produttori, il “tavolo del vignaiolo”, per entrare in profondità nei territori e nelle linee di etichette che ci proiettavano da Corso Sempione a luoghi incontaminati, dall’Isola d’Elba al Tavoliere. Con un’affluenza importante e dominata da una fascia under 35 proveniente da ogni parte del mondo, non potevano mancare i momenti di puro intrattenimento dove un calice di vino era il pairing perfetto alle selezioni musicali del dj set e l’offerta gastronomica, offrendo anche a consorzi e associazioni di scendere in pista e allietare la nightlife interna all’enoteca, come il party di apertura che ha visto la cooperazione di varie Cantine dello stivale o l’elegante party di Franciacorta. Uno spazio contemporaneo e dinamico insomma, di quelli che non annoiano dopo un po’ perchè riescono a rinnovare e stravolgere i propri spazi e la propria offerta per poter accogliere sempre l’interesse di un pubblico sempre diverso, ma con grande voglia di avvicinarsi.
E qualcuno che ancora parla di come avvicinare i giovani al mondo del vino? La risposta è questa, non abbandonando nessuno. Perchè giovani e meno giovani hanno diversi punti di vista, così come sono entrambi attori pronti a sbagliare ma a riconoscere le proprie colpe se attraverso il dialogo ne prendono atto. Lo abbiamo visto tra i sorrisi dei produttori intenzionati a fornire non solo una panoramica sulla propria filosofia aziendale, ma territoriale, così come i sommelier in servizio avevano a cuore l’ascolto di ogni individuo venuto lì per un qualcosa da poter raccontare a casa, non un semplice calice. Mentre io? Porto a casa l’ennesima testimonianza che non c’è nulla di più falso nel catalogare le generazioni, quelle che vogliono i “giovani buoni a far niente” e i “vecchi che non cambieranno mai la propria opinione”.
Oltre l’anagrafica, infatti, posso rassicurare i tanti sociologi e addetti all’anagrafe che il caos nasce sempre, come nelle famiglie o nelle relazioni, quando non si affrontano le rispettive tematiche con la dovuta cura, sincerità e senso del dovere. Enoteca è stato questo, un corpo che ha permesso ad ognuno di dare un’anima, la propria, al suo interno. Ci è passato chi “era lì solo per un’occhiata” e chi aveva prenotato con tempo questa tappa imperdibile, chi aveva alte aspettative e non ne è rimasto deluso e chi, convinto fosse un wine bar, si aspettava più cibo. Ma si accetta tutto, in questi 9 giorni in cui devi tenere in piedi un’intera comunità quando la tua città è diventata capitale del vino.
Cosa farei per migliorare enoteca? Non la chiuderei mai, per offrire ogni giorno, ad ogni ora, un punto per tutti quelli che, nessuno escluso, vuole entrare, rientrare o semplicemente passare nel mondo del vino. E per chi se lo perde, gli lasciamo il dono dell’immaginazione, così a furia di fantasticarci sopra magari si convincono anche loro che gli spazi prendono forma quando sono seguiti da azioni, non pensieri. E ai giovani, tanto citati e poco considerati, cosa dico? Lo si capirà col tempo, come è sempre accaduto. Abbiate rispetto, soprattutto per voi stessi, che a parlar troppo di voi vi stanno impedendo di ragionare liberamente.
Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all’estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.