Spirito guerriero, amante dell’avventura e alla continua ricerca di un tesoro nascosto nelle radici delle sue piante. Marika Socci ci racconta la propria idea sul super autoctono marchigiano
di Nello Gatti
Innanzitutto Marika, perchè tanta ostinazione?
Sono andata a cercare il significato della parola “ostinazione” e ti ringrazio per avermi fatto riflettere su questo concetto, perché, nella mia testa, aveva solo un’accezione negativa ed invece ho scoperto che non è così. Sì sono ostinata! Il mio è l’impegno di chi non si risparmia per il conseguimento di uno proprio scopo, così come mi è stato insegnato, hai presente la frase “se credi in qualcosa vai fino in fondo”?
Lo scopo è quello di continuare con tutto ciò in cui la mia famiglia ha sempre creduto e che ha portato avanti nel tempo superando mille difficoltà. Continuare in un percorso che valorizzi noi stessi, perché credere fortemente in qualcosa, è secondo me il vero valore aggiunto alla nostra persona, oltre a ciò che valorizza il nostro territorio e non dimentichiamoci che il vino senza territorio non esiste.
Lo faccio perché voglio vivere così, gioendo dei piccoli traguardi raggiunti, trovando soluzioni dove sembra che non ce ne siano ma soprattutto alzandomi ogni mattina con la voglia di impegnarmi in qualcosa in cui credo fortemente, dove le ore non si contano e la fatica non è mai considerata.
Ho ancora le farfalle nello stomaco prima di una vendemmia o prima di un imbottigliamento e sono ancora molto emozionata quando accolgo gruppi di appassionati in cantina che vogliono conoscere il nostro lavoro.
Tutto questo per me vuol dire “VIVERE” e poterlo fare con la mia famiglia accanto, con mia sorella quando mi sento sola e insicura, la precisione di mia mamma e la “sana follia” di mio papà mi fa sentire davvero fortunata.
Il Verdicchio, dall’iconica forma della bottiglia alla massiccia presenza in GDO, raramente scalda i cuori dei Sommelier e difficilmente lo si trova nelle carte degli stellati. Cosa non piace di questo vino e come poter cambiare strada?
Perdonami se lo dico, ma di Verdicchio ce n’è troppo. Questo naturalmente è solo il pensiero di chi usa sempre il cuore e non fa quasi mai i conti. Quando si cerca di accontentare tutti poi alla fine non si accontenta proprio nessuno e bisognerebbe iniziare a capire che il Verdicchio deve farsi conoscere per quello che è perché è un vitigno talmente versatile che anche se poi non rientrerà nei gusti di tutti, sarà comunque apprezzato per le sue caratteristiche.
A tutti gli appassionati dico di andare oltre, di cercare le tante cantine e i tanti vignaioli che credono nel loro lavoro e nel vitigno che hanno tra le mani. Lì troveranno il Verdicchio “vero” con tutti i tratti identitari del vitigno e con qualcosa in più: l’anima di chi l’ha prodotto.
La tua è una promessa che non accetta tradimenti: amore assoluto per il Verdicchio e punto. Ma anche il vitigno cambia e si trasforma. Come ti comporti in questo caso?
Quando mio nonno Umberto Socci, assieme a mio papà, più di 50 anni fa, impiantò questo vitigno, lo fece perché già riconosceva in lui delle grandi potenzialità. È un vitigno che non ti delude mai.
Forte, potente, con una spalla acida sempre con sé e camaleontico. Sono queste le caratteristiche che ci hanno spinto a realizzarlo sempre e solo in purezza.
Nel nostro caso, periodi diversi di raccolta delle uve e tecniche differenti di vinificazione possono dar vita a dei vini che parlino sempre di Verdicchio e di territorio ma in maniere differenti.
La freschezza che può donare una macerazione a freddo, la complessità che invece riceverà da una attenta selezione dei grappoli in vigna, lo stupore di degustare un verdicchio in purezza crioestratto o ancora vinificazioni più impegnative in assenza di ossigeno o di travasi. Fino ad arrivare all’appassimento naturale in pianta o al metodo classico. È come se il Verdicchio riuscisse a parlare tante lingue diverse per avvicinarsi a più persone, così da farsi comprendere da tutti.
Piccole espressioni per lanciare bandierine qua e là per il globo, ma tanto lavoro va fatto anche in casa. Qual è il feeling circa l’enoturismo, le visite, le iniziative e le attività per poter conoscere il tuo territorio o più in generale le Marche?
Dobbiamo assolutamente credere di più in noi stessi, senza pretendere un ritorno immediato.
Ci dobbiamo spendere molto di più e non può essere una questione di numeri o di guadagno, quello poi sarà una diretta conseguenza che verrà, con costanza e pazienza.
Il vignaiolo prima di tutto. Lui può comunicare, lui può rispondere ad ogni domanda, anche scomoda, la verità paga sempre. Bisogna essere in grado di fare squadra sempre e solo chi crede fortemente nelle proprie capacità è adatto a questo lavoro. Purtroppo i piccoli produttori come noi possono davvero contare solo su loro stessi, troppi pochi numeri e non importa se dietro c’è una storia che attraversa generazioni. Tutto questo deve finire. Le Marche sono meravigliose, lo sono i vini e anche le persone, dobbiamo soltanto avere il coraggio di urlarlo senza aspettarci che tutti ci sentano al primo grido!
Mercato e futuro: come reagisce, quanto soffre e come sarà percepito dal nuovo consumatore, più attento alle storie che alle denominazioni?
Accolgo con grande entusiasmo “quest’aria nuova” che sta soffiando nel mondo del vino, dove tante persone passano in cantina o frequentano fiere di settore prima che gli scaffali dei supermercati.
Il messaggio che dietro una bottiglia di vino c’è una storia da scoprire è sempre più presente e questo aiuta tutti perché dona un tratto di unicità ad ognuno di noi produttori.
Vedo che anche gli stranieri non si accontentano più di un B2B da 2mila euro dove in 20 minuti devi raccontare alla perfezione ogni cosa di te. Vogliono passeggiare tra i vigneti, accettano un inglese timido e approssimativo come il mio, vogliono toccare con mano e comprendere meglio. Credo che in futuro si debba assolutamente proseguire su questa strada.
Ci sono alcune persone che ci hanno scoraggiato tanto in questo mondo del vino che è stupendo quanto prepotente. Una dedica va a loro, la grinta e l’energia si prende anche da chi spera di vederti fare un passo indietro per poi invece starti a guardare mentre cammini dritto per la tua strada a piccoli passi ma consapevoli.
Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all’estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.