Pasquale e Matteo raccontano la loro cucina immersa nelle Langhe:”Calo dei consumi per timore dell’etilometro? Abbiamo risolto con la bottiglia d’asporto e le camere per gli ospiti: l’esperienza dev’essere completa, senza rinunce”
di Alessandra Meldolesi
Le Langhe non sono un posto qualsiasi quando si parla di vino: qui la simbiosi è totale e impronta la ristorazione, chiamata a esercitare più che mai l’arte dell’abbinamento. È il caso, fra gli altri, di Borgo Sant’Anna a Monforte d’Alba, dove officia il giovane chef pugliese Pasquale Laera. Esponente di punta dei Cannavacciuolo boys, è stato secondo a Villa Crespi e poi resident del Boscareto, dove già nel 2014 ha conquistato la stella, prima di navigare in solitaria acque vicine. A Borgo Sant’Anna fin dall’apertura nel 2019, continua a esprimervi la medesima filosofia di cucina panitaliana, incentrata sulla fusione fra sapori del nord e del sud Italia, con la complicità di Matteo Di Giovanni, giovane sommelier in cui ripone piena fiducia.

Laera: Sono arrivato nelle Langhe nel 2013 e qui ho scoperto un mondo nuovo: il vino, che per me ora è una seconda passione, dopo la cucina. È qualcosa che ti entra dentro e permea ogni istante: qua anche al bar ti servono il calice, a fine turno gli operai non bevono la birra, ma il vino e tutti parlano comunemente di annate, anche i ragazzi dal parrucchiere. Siamo circondati da vigneti e mi basta guardarmi intorno per scoprire nuove ispirazioni. Facendo visita ai produttori, poi, ho ascoltato storie che nei piatti ritornano. Tanto che mi piace adoperare anche l’uva, che è il primo frutto che trovo, sotto forma di polveri ed estratti. Mi sono innamorato del Barolo, ma conosco i miei limiti e so che devo affidarmi a Matteo, che è innamorato del vino come lo sono io della cucina.
Di Giovanni: Sono originario del Padovano, dove i miei conducono un locale nato negli anni ’60; quindi sono cresciuto in mezzo alle sale e dietro ai banconi del bar, qualcosa che mi porto dentro con orgoglio. Tanta passione mi è stata trasmessa anche da un paio di figure chiave: per primo Angelo Sabbadin, ex sommelier delle Calandre che ho affiancato per un paio d’anni prima di frequentare i corsi AIS; poi Antonio Guida al Seta, dove mi sono fermato quasi 6 anni, dal 2017 alla fine del 2022. Quando è sorta l’opportunità di spostarmi a Borgo Sant’Anna, in quello che per me è il parco giochi del vino, l’ho subito colta al volo. E ho trovato in cantina una base solida, con tanti rapporti ben avviati e strutturati. Lo stampo era molto classico e noi abbiamo proseguito la collaborazione con le famiglie e le realtà storiche, perché in Langa è difficile spostarsi dalle radici; dando però anche un’impronta di maggiore ricerca su maison piccole e giovani. Oggi stiamo allestendo nuovi spazi per le nostre 1400 referenze. Abbiamo 40 pagine solo di Barolo, con cui riusciamo a coprire un bel ventaglio di palati, da chi cerca le nuove rising star a chi ordina lo stesso produttore da 20 anni. Ma siamo soddisfatti anche di come copriamo il resto d’Italia, la Francia, la Germania e l’Austria, più qualcosina dal Nuovo e una selezione divertente di vini spagnoli.
Laera: Ogni tanto mi capita di mettere Matteo in difficoltà con piatti che virano sull’acido, dove impiego aceto di barbera o di nebbiolo. Mi piace che li assaggi e poi compia i suoi collegamenti. Se poi il prodotto è opulento, a volte penso: Tanto c’è il vino! Ma succede anche che un calice mi ispiri, per esempio Matteo mi ha fatto provare un uvaggio di brachetto e barbera suggerendomi di mettere in carta l’anguilla. E così è stato.
Di Giovanni: Per il pairing non c’è un’unica ricetta. Personalmente tendo a partire dall’idea del piatto, ancor prima di assaggiare cerco di immaginare cosa mi troverò davanti e compio qualche valutazione didattica, che non sempre si rispecchia nelle sensazioni finali. Quella di Pasquale non è una cucina banale, presenta stimoli e sfide sempre nuovi, che mi portano a giocare spesso con le temperature di servizio. Ricordo un piatto a base di carciofi e di tuorlo che non mi ha fatto dormire per diverse notti. Allora penso alla grassezza, all’acidità, all’astringenza; preparo qualche prova, assaggiamo insieme e compiamo le nostre valutazioni, cercando il massimo dell’equilibrio e dell’armonia. Il percorso che ne risulta comprende un calice per piatto; nel Menu Passioni e Origini, che è un cocktail di radici pugliesi ed esperienze piemontesi, passiamo agilmente dai vini langhetti alle escursioni fuori porta.
Laera: Mi piace coinvolgere Matteo durante l’intera gestazione del piatto; mentre faccio le prove, anche prima del servizio, mi capita di fargli assaggiare un singolo elemento e di chiedergli un riscontro, per poi andare avanti. Ma l’abbinamento non nasce in un giorno, anche perché il piatto e le sue proporzioni possono cambiare e necessitare di diversi assaggi. È tutto molto spontaneo e sono convinto che il pairing alla fine sia anche un incontro umano.
Di Giovanni: A differenza di Milano qui il pubblico cambia secondo la stagione, è più internazionale sotto tartufo, ma in generale è molto esigente e attento a dettagli solitamente riservati agli addetti ai lavori, come la decantazione o la temperatura di servizio. Ora misuriamo una certa apprensione, cui stiamo reagendo in modo positivo. Nel senso che se l’ospite chiede due calici, lo invitiamo a consultare la carta per scegliere una bottiglia e portare a casa ciò che resta, cosa che per gli stranieri era già piuttosto usuale, ma che per gli italiani rappresenta una novità. Stiamo anche allestendo 4 camere che saranno pronte a breve per garantire un’accoglienza a 360 gradi, ma ne abbiamo altre 20 a duecento metri da qui, presso il secondo ristorante dello chef, Lostu.


Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent’anni.