Giancarlo Tavani e Gianpietro Stancari raccontano la loro trattoria tra l’aristocratico e il contadino: “Chi ordina Lambrusco merita la stessa attenzione di chi sceglie Champagne”
di Alessandra Meldolesi
Non tutte le trattorie hanno una storia di generazioni alle spalle e una nonna amorevole per fondatrice. Alcune fra le migliori, anzi, hanno preso forma attraverso una diaspora dal fine dining, grazie a professionisti che hanno scelto una ristorazione più terrena, non per questo meno impegnativa o ambiziosa. È il caso di Giancarlo Tavani e Gianpietro Stancari, che si sono conosciuti all’Ambasciata di Quistello, regno dei fratelli Tamani, e nel 2005 hanno deciso di aprire un posto loro alla periferia di Parma: i Due Platani di Coloreto, dove hanno presto conquistato il cuore dei gourmet con una proposta che valorizza la loro straordinaria cultura gastronomica. “Nei primi anni 2000 a Quistello ero capopartita ai primi, Gianpietro ai secondi e al garde-manger”, esordisce Tavani. “Avevo lavorato in Francia, Spagna e Inghilterra, dove mi ero collocato in sala; dopo un anno coi Tamani, che mi era sembrato sufficiente per assimilare quella cucina mantovana ben fatta, con il suo pionieristico menu di paste fresche, io e Matteo Ugolotti, che ora manda avanti l’Ambasciata, siamo subentrati a una coppia di anziani ai Due Platani, che avevano già una loro storia. La nostra intenzione era attenerci all’effettivo e al percepito della trattoria, evolvendo il concetto con le nostre conoscenze nello stesso periodo in cui Oldani, che poi ha proseguito diversamente, lanciava il D’O. Ed è una sfida in cui bisogna avere la forza di non farsi tirare per la giacchetta, conservando il proprio pensiero originale, senza cedere alle sirene del profitto. Da subito ho scelto di collocarmi in sala, perché amo il contatto con la gente. Avendo vissuto tanto all’estero, come meccanismo di sopravvivenza ho sviluppato la capacità di interpretare il linguaggio del corpo e dello sguardo, in modo da capire al volo le persone. Da come camminano, intuisco il loro stato d’animo per una sorta di empatia. Poi io ero partito come barman a Cremona, prima ancora di andare a Londra, e proprio al bancone, scambiando assaggi e dritte con i sommelier, ero approdato naturalmente al vino. È un mondo trasversale, fra l’aristocratico e il contadino. Un abito comodo che puoi cambiare in men che non si dica e che rende tutto più democratico. Poi c’è il vino come forma d’arte: Bizot, Mascarello, Rinaldi, Lino Maga. Per scommessa ho perfino un tatuaggio di Jayer, padre nobile dell’enologia in Borgogna. Morendo è assurto a mito, i suoi vini sono diventati introvabili e costosissimi. Un amico industriale compiva quarant’anni e voleva che chiudessi per festeggiare con lui in Francia. Io ho risposto che se mi avesse trovato una bottiglia di Jayer, me lo sarei anche tatuato. E così è stato, mentre io pensavo solo di spararla grossa.
Stancari: Quando ci siamo incontrati all’Ambasciata, eravamo un bel team affiatato ed è un legame che è proseguito anche dopo. Io sono rimasto più di 5 anni, ma ero partito appena quattordicenne al Bersagliere di Goito, che distava cento metri da casa mia e in quegli anni aveva conquistato la seconda stella. Ricordo piatti in grande anticipo sui tempi come l’ostrica nel lardo o l’anguilla marinata, che ho ripreso, eseguiti da una brigata di venti elementi provenienti da tutta Italia, fino al Giappone. Massimo Ferrari spingeva e magari alla fine l’ha un po’ pagata. Sono seguite le mie stagioni in Svizzera e a Campiglio, mi sono fermato di nuovo a Quistello, quando Mantova sembrava la capitale della cucina, e ho aperto il Four Seasons di Ginevra. Io però non sono fatto per i grandi numeri, quindi sono tornato al Bersagliere per 3 anni, fino alla chiusura. Mi ero un po’ dedicato alla famiglia, quando è arrivata la proposta di Giancarlo. Parlava di una trattoria dove lavorare bene. Adesso in tanti stanno facendo un passo indietro, ma allora non era scontato mettere tecniche e piatti gastronomici alla portata di tutti.
Tavani: È un passaggio storico nato un po’ per necessità in Francia con la bistronomia. C’erano questi secondi di grandissimi chef, che avevano le capacità ma non le finanze per aprire un fine dining e hanno ripiegato su locali dove prodotto e tecnica fossero al top, ma la sedia poteva essere spartana e il rapporto qualità prezzo alla fine sorrideva. Noi per esempio non vogliamo mettere a disagio nessuno. Quando è passato Massimiliano Alajmo, ha visto due presse, Paul Bocuse e ha detto: ‘Trattoria? Parliamone’. Ma sono scarti che puoi vedere e non vedere. Per noi chi ordina Lambrusco ha la stessa dignità e riceve le stesse attenzioni di chi beve Borgogna o Champagne.
Stancari: Alla fine cerchiamo di portare le nostre esperienze e il nostro bagaglio in piatti normalissimi. A me piace scovare i migliori prodotti; preferisco recuperare le ricette del passato e attualizzarle, che tentare abbinamenti azzardati. La mia è una cucina per tutti, ma rigorosa. Per esempio ci sono i tortelli chiusi al momento, che sono preparati nello stesso modo alla Bottega, subito prima della consegna. Oppure il gelato mantecato con la Carpigiani verticale, che esce in sala per dimostrare che lavorare à la minute è un’altra cosa.
Tavani: Il sacrificio è stata demonizzato, ma per me è molto onorevole in quanto garantisce risultati inattaccabili, mentre le altre sono scorciatoie. Il concetto del tortello in particolare sviluppa un pensiero applicabile a tutto: non è matematico, ma cercare di fare bene le cose porta sempre ad avere un risultato positivo, magari inaspettato. La nostra pasta ben manipolata rimane nervosa e regge la pressione dell’acqua, sebbene sia sottile. Appena preparata, cuoce subito, cosicché il ripieno si scalda appena, senza dilavarsi, favorendo la digeribilità ed evitando le codette dure. Quindi dall’idea di una cosa ben fatta sono derivati naturalmente tanti benefici, fino al Parmigiano grattugiato sopra al momento, che non è ossidato e non sa di frigo. Siamo costanti e coerenti, senza cercare di massimizzare a tutti i costi i profitti. La gente viene ai Due Platani per i salumi, i tortelli, il gelato, il Parmigiano e il Lambrusco, che non devono mai mancare. Poi per passione personale forniamo qualche alternativa, ma la nostra resta una trattoria. Non metteteci addosso l’abito del ristorante, che non ci appartiene.
La nostra carta dei vini da 130 referenze è altrettanto democratica: offriamo a tutti la possibilità di spaziare dal Lambrusco a un grande Barolo, dal bicchiere onestissimo al Riedel, se magari durante il pasto arriva una bella notizia. Abbiamo constatato una certa contrazione, nel senso che molti ospiti sono passati dalle bottiglie al calice. Noi ci mettiamo a disposizione per stappare qualsiasi cosa, nella speranza che cali la tensione, visto che le forze dell’ordine non hanno manifestato accanimento. Sono misure che non riguardano chi esce in coppia per bere una bottiglia a cena. Poi fatta la legge, si trova il sistema, per esempio si può offrire la possibilità di portare a casa il resto con lo sconto.
Stancari: Io non sono molto ferrato sul vino. Apprezzo la bella bevuta, ma i compiti con Giancarlo sono ben divisi. I miei sono piatti semplici, composti di tre o quattro elementi, che non richiedono abbinamenti particolarmente studiati.
Tavani: È una cucina da pinot nero, nebbiolo, Barolo e Lambrusco. Una cucina da rossi insomma, tranne la Malvasia su salumi e torta fritta. Ma secondo le voglie anche uno Champagne o un Etna rosso ci stanno benissimo. Il tenore alcolico non deve essere elevato, intorno ai 12 gradi. Anche per questo è ideale il Lambrusco con le sue bollicine, il frutto, l’acidità se sorbarese; il nostro poi è tagliato con la Bonarda, che porta ancora frutto e dolcezza. Perché la cucina parmigiana è dolce, dalla michetta senza sale al prosciutto crudo. E i francesi hanno vinto anche per il grado basso, che consente di finire la bottiglia.
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Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent’anni.