Parla il Vicepresidente del Senato, già Ministro dell’Agricoltura e del Turismo: dalle minacce alla filiera vinicola dell’UE ai dazi dell’Amministrazione Trump, i riflessi sui consumi delle scelte politiche
di R.V.
“Vendemmie” ha intervistato in esclusiva il Vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio.
È un momento particolare per il mondo del vino, con numerosi temi in gioco: calo dei consumi, spinta negativa da parte dell’Unione Europea. Partiamo da qui: i burocrati di Bruxelles sembrano voler proseguire la loro battaglia contro la filiera vinicola.
Sono preoccupato. Quando 2 anni fa l’Europa bocciò l’introduzione di etichette allarmistiche (come paragonare una bottiglia di vino a un pacchetto di sigarette), tutti pensavano che l’UE sarebbe stata più tranquilla sul tema. I parlamentari, eletti dai cittadini europei, avevano detto di no. Ora invece siamo tornati al punto di partenza, con una nuova legislatura e una nuova minaccia da parte dell’UE. Fortunatamente, dopo l’allarme che ho lanciato nei giorni scorsi, c’è stata una reazione forte da parte di vari partiti in tutti i Paesi dove il vino è una tradizione consolidata: Francia, Spagna, ma anche Germania grazie al supporto di un’altra filiera coinvolta nei possibili provvedimenti, quella dei produttori di birra tedeschi.
In questi giorni si è accesa anche una forte discussione per un intervento (ripreso da molte testate) del re delle Langhe, l’imprenditore Angelo Gaja che difende la natura unica dell’alcol presente nel vino, facendo delle distinzioni rispetto ad altre industrie alcoliche.
Il vino non può essere paragonato a qualsiasi altra bevanda alcolica. Il supporto scientifico dimostra che il vino, bevuto con moderazione, contiene sostanze benefiche per la salute. Dire che il vino – in particolare il rosso – previene le malattie cardiovascolari significa parlare di un prodotto che va ben oltre la semplice bevanda alcolica, la quale, soprattutto nel nord Europa, viene paragonata ai superalcolici che portano a un consumo sconsiderato. Il vino è cultura, è territorio. È un prodotto che non può essere paragonato a quelli spesso elaborati dall’industria e utilizzati principalmente dai giovani per ubriacarsi.

Altra insidia in questi giorni: i dazi americani che minacciano i produttori italiani. Come pensa finirà questa vicenda?
Nel miglior modo possibile: deve prevalere il buon senso. Trump minaccia i dazi, ma in tutto il mondo ci sono Paesi che applicano dazi, non solo economici. Penso al Brasile, che impone dazi pesantissimi per tutelare le birre locali, rendendo inaccessibili i vini e i prodotti del beverage europei. La Cina, altro esempio, applica dazi sanitari e burocratici che rendono molto difficile per i nostri produttori entrare nel loro mercato. Taiwan applica un dazio del 25% sui vini italiani, mentre sui vini francesi è solo del 10%. Dobbiamo arrivare a una parità di trattamento tra tutti i Paesi europei. Trump non ha inventato i dazi, dobbiamo lavorare su mercati esistenti o potenziali, dove possiamo trarre vantaggio da una tassazione più bassa.
Dati attuali testimoniano un calo dei consumi nel mondo della ristorazione, condizionato dalle nuove normative del codice della strada. Ma è davvero giustificato? In effetti, al di là dell’aggravamento delle pene per i recidivi o dei corretti aggravamenti per chi viene trovato alla guida positivo a sostanze stupefacenti, i limiti e le pene sono rimaste sostanzialmente invariate.
In effetti non è cambiato nulla: il tasso alcolemico è lo stesso, se non per qualche multa più alta. Il problema è la politica, che ha fatto un errore di comunicazione colossale. È normale che ci sia allarmismo a 360 gradi, ma per fortuna i mezzi di comunicazione più responsabili stanno cercando di ridimensionarlo, mentre altri continuano a spaventare la gente. Credo anche che ci sia una questione economica: in alcuni ristoranti o locali, una bottiglia di vino può costare più del pasto. In tempi di crisi, i consumatori fanno i loro conti.
A dicembre è stato pubblicato il Decreto che norma la produzione dei vini dealcolati in Italia. È curioso che la legge sia arrivata dopo la tecnologia, visto che la maggior parte degli impianti di ultima generazione per la dealcolazione sono “made in Italy”. Pensa che sarà un’opportunità di mercato per i nostri produttori?
È giusto affrontare l’argomento per rispondere a diverse esigenze, senza chiudersi in una bolla dicendo che esiste solo il vino tradizionale. Altrimenti perderemmo quote di mercato in Paesi che stanno andando in quella direzione (come i Paesi Arabi o il Nord Europa). È ovvio che uno non deve sostituire l’altro. Personalmente non sono molto attratto dai vini senza alcol, li considero più come un succo d’uva. Ma se una parte di consumatori sta andando in quella direzione, è giusto che il mercato dia una risposta.

È stato Ministro dell’Agricoltura e del Turismo quando le due giurisdizioni erano unite. Oggi un tema molto importante è legato alla promozione dell’enoturismo rispetto ad alcuni luoghi, come ad esempio Milano: è un bacino turistico importante, ma non c’è attività di promozione per i territori vicini (Franciacorta, Oltrepò, Valtellina, Langhe, Garda, Gavi), che non entrano nell’offerta turistica integrata della città. Ed è anche una questione di mobilità, perché queste location sono raggiungibili solo tramite autoveicoli e non esistono collegamenti efficaci, al di là dei tour con autisti privati.
Siamo ancora all’anno zero in termini di mobilità e di collegamento tra le aree interne del paese e le zone enoturistiche più note. Abbiamo fatto l’esempio di Milano, ma lo stesso vale per molte altre località, come le coste italiane e le difficoltà di accedere negli entroterra per praticare enoturismo. In Italia i compartimenti stagni sono ancora una realtà: ogni territorio agisce per conto proprio senza una visione unitaria. L’enoturismo in Italia è strutturato solo da pochi anni e faremo molta fatica per farlo decollare. Esistono le Strade del Vino, le Città del Vino, i Consorzi, le Camere di Commercio, ma questi interlocutori lavorano solo sui propri territori. Le grandi città del turismo non hanno capito che circa il 30% dei turisti che arrivano in Italia lo fanno anche per motivi agroalimentari. Se riuscissimo a far parlare tra loro questi interlocutori, sarebbe un grande passo avanti. La prima cosa da fare è parlare con i tour operator per creare pacchetti turistici che uniscano territori con vocazioni diverse.
Non possiamo che concludere parlando di Oltrepò. Un nuovo disciplinare per le bollicine da Pinot Nero e modifiche che danno molto più. Qual è il tuo parere?
L’Oltrepò Pavese continua a cambiare e spero che questa sia la volta giusta. Alcune delle recenti modifiche, a mio avviso, hanno snaturato e reso poco incisivo il nostro territorio. Adesso spero che l’Oltrepò possa finalmente decollare. Per quanto riguarda il Consorzio e i produttori, la visione rispetto al passato è cambiata: è più radicata nel territorio, ma dobbiamo riuscire a far ragionare tutte le realtà dell’Oltrepò, recuperare chi è uscito dal Consorzio e coinvolgere tutti.