Alle porte di Perugia il ristorante “Elementi” di Andrea e Mimmo, che raccontano la loro idea di cucina basata sul confronto: “Partiamo dalla tradizione per approdare ad abbinamenti non canonici”
di Alessandra Meldolesi
La nouvelle vague della gastronomia umbra, certificata ufficialmente da Michelin sotto l’hashtag #umbriaonfire, trova uno dei suoi vertici nel ristorante “Elementi” del resort Borgobrufa, alle porte di Perugia, dove il trentenne Andrea Impero, passato per le botteghe di Caputo e Iaccarino, poi lungamente moscovita, serve una cucina tanto concreta quanto elegante e riflessiva, con la complicità del sommelier Domenico Scotto D’Antuono, detto Mimmo. Sarà per qualche anno di differenza, dice, che nel confronto brio ed esperienza si temperano, aiutando a ponderare e arrivare laddove in solitaria non riuscirebbe. “La gestazione dei piatti qui è molto lunga: prove su prove. Tanto che un menu dura quasi un anno, anche grazie all’uso ricorrente di vegetali fermentati”, racconta. “Ma io non mi limito mai al mio giudizio: non è mai sufficiente, quindi cerco il confronto. Partiamo da qualche battuta, poi nelle fasi di degustazione ci scambiamo veri e propri feed-back, durante i quali sono stati anche scartati dei piatti. Ad assaggiare siamo io, Mimmo, la restaurant manager Martina Pallanti, i miei secondi Daniele Binario e Nicola Marzano. Mimmo studia quelle che potrebbero essere le tipologie più adatte, proviamo, a volte non funziona subito, anzi quasi mai, e allora ritentiamo”.
Andrea: “Lavoriamo insieme da 5 anni. Ci siamo conosciuti nel 2019, quando Borgobrufa era chiuso per ristrutturazione. Poi a settembre 2019 abbiamo iniziato a collaborare al ristorante del resort ‘Quattro sensi’ e a studiare quella che sarebbe stata l’apertura di ‘Elementi’ Fine Dining, posticipata di 2 anni causa Covid”.
Domenico: “Io sono in struttura da 12 anni e ho seguito tutte le sue evoluzioni. Mi sono formato lavorando in Toscana, girando per cantine, confrontandomi con punti di riferimento come Giorgio Grai, che frequentava la ‘Frateria’ di Cetona. Da napoletano ho conosciuto qui il vino umbro, grazie ai ragazzi che mi affiancavano e che mi hanno iniziato alle DOCG dell’Umbria, cominciando da Torgiano, che è qui accanto. Poi ho conosciuto il Sagrantino, che si è preso la scena”.
A: “Negli ultimi 2 anni il nostro rapporto si è intensificato, perché siamo entrati appieno nel mondo di Elementi Fine Dining. Mimmo è molto appassionato sia di cucina che di vino, è uno che a casa si diverte a cucinare ed è una persona che non sta mai ferma nel suo pensiero sulla ristorazione. Tante volte ci siamo scambiati consigli, idee, suggestioni. Dice che ho riacceso in lui la voglia di studiare e cercare pairing migliori, uscendo dalla routine. Perché noi facciamo tanta ricerca: lavoriamo con una rete di 50 produttori regionali e fuori arriviamo a 70”.
D: “La carta dei vini, stilata in collaborazione con Martina Pallanti, segue la stessa filosofia della ricerca e dell’artigianalità, valorizza il territorio umbro e include le etichette della casa. C’è una sezione di vini naturali, ben presenti in regione, tanta Toscana e tanto Piemonte, con i classici e qualche nome più curioso, sempre nel rispetto del territorio. Né manca un focus importante sulla Campania, mia regione di origine, dove ha lavorato anche Andrea, da ‘Caputo’ e ‘Don Alfonso’. Su richiesta del target stiamo approfondendo anche i vini francesi e di altre nazioni. Per quanto riguarda gli abbinamenti, si parte da una suggestione di fondo, consideriamo le regole e poi cerchiamo una strada personale, che non sia necessariamente un vino o l’abbinamento canonico”.
A: “Può essere qualcosa che esce dagli schemi, come rifermentati che prepariamo noi stessi, da frutta o verdure assemblate in un drink, birre o anche tè. Quest’anno abbiamo studiato quello che era un pensiero astratto con delle esperte che ci hanno indirizzato: ‘elementi di chai’ è un infuso che abbiamo creato per la crescionda spoletina, con del tè nero delicato, un bouquet aromatico che riprende le spezie del dessert, il chiodo di garofano e la cannella, il finocchio e la liquirizia che aiutano la digestione al termine di un percorso impegnativo”.
D: “Sulla pecora abbiamo subito escluso il vino, passando alla birra. Poi ci sono la kombucha del Fauno o il Vermouth e soda con pasta e cipolla. Alcuni ospiti bevono solo bianchi o rossi, allora diventa complicato su certi piatti. Io cerco di fare il meno peggio o propongo una bottiglia passe-partout, poco invasiva”.
A: “In ogni percorso non manca mai una bevanda preparata da noi. Abbiamo fatto anche abbinamenti con il nostro sidro di mele, il fermentato di fiori di acacia e sambuco, i fichi d’India, l’acqua di pomodoro e il kvas, che si è diffuso in Russia come alternativa alla Coca-Cola illegale. È una bevanda simile a una birra scura, che viene preparata con il pane nero di segale. Noi usiamo i nostri pani da grani antichi, che vengono fatti fermentare in acqua calda con una piccola parte di lievito, zucchero, uva passa e aromi, fino a 4 gradi brix. All’imbottigliamento si inserisce un liquore con zucchero a piacere, per fare ripartire la fermentazione. Ed è l’abbinamento per la Notte di San Giovanni, con la pastiera e la kasha, un dolce russo. Alla fine dobbiamo essere tutti d’accordo, ma dobbiamo anche avere il piano B e il piano C, perché non sempre il cliente è d’accordo. Quindi l’abbinamento è studiato quanto il piatto: fra un mese sarà lo stesso, a meno che il cliente non sia già passato e tenendo conto delle temperature. Sono dell’avviso che quando si cerca di donare un’esperienza all’ospite, questa debba essere pensata nel minimo dettaglio. Uscire troppo fuori traccia sarebbe controproducente. C’è bisogno di studio”.