Giulio e Federica raccontano l’accoglienza da Une: “Stare a tavola è socialità, abbiamo pensato a pairing analcolici e persino alcol test per i nostri ospiti. Comunque il vino resta il re”
di Alessandra Meldolesi
“Une” nell’umbro antico sta per “acqua” ed è negli spazi di un mulino seicentesco adibito alla frangitura del grano e delle olive, in una frazione di Foligno attraversata dal torrente Roveggiano, che ha sede dal 2021 il visionario ristorante di Giulio Gigli, giovane chef dai prestigiosi trascorsi internazionali, già responsabile di ricerca e sviluppo presso Disfrutar, attualmente primo ristorante al mondo, passato per Le Cheval Blanc, Benu e Il Pagliaccio. Se la sua cucina è sintonizzata non sulle ultime, ma sulle prossime tendenze, la dispensa è ancestrale, incentrata com’è sui prodotti umbri dimenticati e ritrovati nel raggio di una ventina di chilometri. Ma come vedremo, non va diversamente in cantina. “Io bevo vino da appassionato. Sono tendenzialmente bianchista e prediligo i naturali. Da Disfrutar capitava che mi occupassi del pairing di cucina, come accompagnamento di brodi o fermentati. Ma non del vino, anche se entravo in contatto con i sommelier in caso di menu speciali per chef stellati o grandi gourmet. Tenevamo riunioni apposta per provare i piatti con i calici”. A febbraio 2022 a coadiuvarlo è arrivata Federica Capodicasa, giovane sommelier originaria di Spello, che durante gli studi in Lingue e culture straniere a Urbino aveva iniziato a lavorare come cameriera. “E alla fine l’università mi è tornata utile anche per le nozioni di marketing e comunicazione d’impresa. Avevo già lavorato per due anni come cuoca in un ristorante di cucina tradizionale prima di conoscere Giulio, che mi ha chiamato da Une come responsabile di sala. Molti miei amici però producono o degustano vino, cosicché mi sono sempre trovata all’interno di un circuito di appassionati. Avevo quindi una formazione amatoriale che ho approfondito con il precedente sommelier Fabrizio Olimpieri, affiancato con costanza mentre frequentavo i corsi, che a luglio completerò con un master di livello internazionale”.

Gigli: “Quando ho aperto avevo pochissimi mezzi, zero soldi. Quindi il nostro è stato un percorso in crescendo. La cantina era molto basica, come il menu e il personale. Eravamo due in cucina e due in sala, ora siamo cinque e cinque, più la plonge, il marketing, la contabilità. La mia idea era puntare in modo coerente col progetto su cantine che portassero avanti un lavoro sostenibile, biologico, biodinamico, con scarso intervento sulle vigne. Abbiamo iniziato dall’Umbria con una carta da una cinquantina di etichette, ora siamo a 350”.
Capodicasa: “Quando ho preso in mano la cantina, ricordo che eravamo intorno a quota 200. Abbiamo fatto un briefing importante per capire dove volevamo andare, come intendevamo portare avanti la ricerca e presentare un pairing strutturato, che prima mancava. Poi la crescita è stata continua fino a oggi. L’Umbria ha conservato la sua primazia, con il 30% delle etichette e una presenza robusta nel pairing, dove la comunicazione è più diretta. Perché ci sembrava logico presentare le materie prime regionali con i loro vini. Ma ho aumentato anche la presenza estera, prevalentemente francese e tedesca, con tanto riesling e pinot nero. La mia regione ideale oltre l’Umbria, che adoro, è il Friuli con la zona del Collio. E la Borgogna, che viene raccontata e democratizzata da diversi giovani distributori locali”.
Gigli: “Il pairing per me è molto importante, ma deve sempre adeguarsi ai piatti, che da Une cambiano ogni mese e mezzo. Quindi deve risultare altrettanto dinamico. Federica è una delle prime che si siede a tavola durante il servizio, nelle giornate un po’ scariche, come se fosse un cliente. Perché non è importante solo provare il piatto col vino, ma capire quel momento nella totalità dell’esperienza”.
Capodicasa: “Il pairing si sviluppa con l’assaggio delle componenti del piatto: le salse, le consistenze, le materie prime, i brodi. Cercando attraverso il dialogo aperto con lo chef, che assaggia più di tutti, di aiutarci a vicenda. Fino al momento in cui andiamo a provare le diverse bottiglie, ci chiediamo seduti se occorra più alcol, più acidità, la ripresa di una nota aromatica e così alla fine troviamo il bicchiere perfetto per chiudere l’esperienza. Ma non è l’unico caso in cui io e Giulio beviamo insieme. Finito il servizio ci piace prenderci delle pause in cui stacchiamo, ci rilassiamo e assaggiamo qualcosa di nuovo”.
Gigli: “Il vino è socialità e questo aspetto va valorizzato anche in brigata, durante le giornate di lavoro, che possono essere frenetiche. A volte sono io a portare qualcosa indietro dai miei giri e lo faccio assaggiare a Federica, ma la decisione finale è tutta sua”.
Capodicasa: “Devo dire che inizialmente a causa delle nuove norme c’è stata molto paura. Il calo della richiesta è stato drastico, tanto che abbiamo pensato di acquistare alcol test per rassicurare gli ospiti. Adesso stiamo notando un clima più rilassato, ma abbiamo iniziato a proporre anche un pairing analcolico con bevande, fermentati e brodi principalmente fatti da noi. Qualcuno l’ha subito richiesto, ma il vino resta egemone”.
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Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent’anni.