Terra di confine e d’interazione tra diverse culture, culla di grandi bianchi che evolvono con incantevole grazia.
di Alessandra Piubello
Pensa alla storia di questi luoghi, che nei secoli hanno visto passare un’infinità di uomini e di soldati, subendo continue modifiche dei confini. I friulani erano sudditi di tutti, dai romani ai bizantini, dalla Serenissima all’Impero austriaco, dai francesi agli italiani e dagli jugoslavi nuovamente agli italiani (costituendosi come regione nel 1963). Sulla loro pelle sono state scritte le pagine più tristi delle ultime due guerre mondiali. Erano al margine, in luoghi di confine e di contrapposizioni, per una posizione geografica da sempre oggetto di contese. Il lembo estremo orientale d’Italia ha quindi un confine che non è una vera barriera: di solito è la geografia a tracciare i margini, con catene montuose, fiumi, mari. Ma qui è stata la storia, lunga e complessa, a tracciare una falsariga di confine. In una terra di silenzi e di verità mai dette, di emigranti che armati della pazienza dei forti tornavano a casa con la volontà e l’orgoglio di ricostruire ciò che era stato distrutto. Un popolo dominato dalla storia ma non sconfitto; epperò diviso, pronto a lamentarsi ma non a fare squadra, indomitamente individualista.
Buttrio, Vigneti sotto il Castello di Buttrio – ph Luigi Vitale
Il Friuli Venezia Giulia va vissuto, ascoltato e osservato nei gesti, a volte un po’ ruvidi, che svelano l’indole della forza dell’impegno, costante, lontano dalle luci della ribalta, abituato a fare e non a raccontare. Mentre dovrebbe comunicare di più. E questo forse riflette l’anima schiva e taciturna di un fiero Friuli orgoglioso e devoto alla fatica ma non abbastanza sicuro di se stesso. La saggezza contadina ha fatto sopravvivere nei secoli di dominazione l’anima della terra lavorata con quel senso di appartenenza radicato nel DNA.
Soldati descrisse così il Friuli Venezia Giulia: “Terra ardente e impetuosa, dove sebbene si vinifichi in grande quantità, si beve più di quanto si vinifichi”. Forse è nell’osteria, luogo che racchiude parte dell’anima friulana, con un tajut (bicchiere di vino) in mano che il friulano ritrova la socialità e la condivisione. Vin e amîs, un paradîs (vino e amici, un paradiso) recita un vecchio proverbio friulano. Non a caso Comisso descriveva i friulani come gente tenace con un culto speciale per il vino, quasi vi trovasse il conforto e il coraggio per resistere.
Un mondo vitivinicolo unico, proprio per la storia di queste terre poco raffrontabile con il resto d’Italia: il vino è anche umano e risente del nostro vissuto.
Ruttars, Dolegna del Collio
Il Friuli Venezia Giulia è uno specchio di Mediterraneo che confina con la Mitteleuropa, una terra di uomini tenaci, intellettuali impegnati e di celebri vini bianchi. E ancora, di dolci colline, che godono della luce riflessa del vicino Mar Adriatico a sud, protette dalla presenza delle Alpi Giulie a nord che fungono da preziosa barriera contro il freddo più ostico, ma che non impediscono al Friuli Venezia Giulia di essere la regione con la più alta piovosità in Italia.
In questo incerto orlo d’Italia, il vigneto è di 22.000 ettari, con una ripartizione dell’81% in pianura e del 19% in collina, con 4 Docg (Picolit, Ramandolo, Rosazzo, Lison), 12 Doc e 3 Igt. L’80% delle vigne è a bacca bianca.
Le varietà autoctone sono giunte in questa terra attraverso due vie principali: una latina, a seguito della conquista romana attorno al primo secolo a.C. e la seconda (che riguarda i due terzi del patrimonio autoctono) attraverso la penisola balcanica in epoca più antica della precedente e operata dalle popolazioni celtiche. I vitigni internazionali arrivano nell’Ottocento molto probabilmente grazie al Conte de La Tour, permettendo al Friuli di adottarle e farle parlare friulano, andando poi nel mondo a raccontarsi.
Abbazia di Rosazzo – ph Massimo Crivellari
Con l’avvento (2009) della Doc interregionale del Prosecco, la fisionomia del vigneto Friuli Venezia Giulia è radicalmente mutata. A oggi è la glera il vitigno più piantato, seguito dal Pinot Grigio impiegato nella doc delle Venezie (altra denominazione interregionale).
E cominciamo dunque il nostro viaggio enoico da ovest, nella vasta pianura della Grave Doc, tra le province di Pordenone e Udine, così chiamata per il terreno di origine alluvionale, ricco di sassi e ghiaia. Qui vengono prodotti oltre i due terzi della produzione totale (con la presenza di cinque delle sei cantine sociali regionali). Più a sud, il Lison Pramaggiore e il Lison Docg, due denominazioni interregionali. Gli areali coincidono, ma mentre la Docg è prevalentemente a base di tai o friulano, il Lison Pramaggiore Doc offre una notevole varietà di vitigni a bacca bianca e rossa, per la maggior parte internazionali. Le due denominazioni si estendono su terreni prevalentemente sabbiosi e argillosi.
Vigneti a Capriva del Friuli
Ci spostiamo verso est, nella parte della Bassa friulana che arriva, nelle sue zone più a sud, a lambire il mare e a essere attraversata dalla bora, con tre denominazioni della provincia di Udine: Friuli Latisana, Friuli Annia e Friuli Aquileia. Tre Doc accomunate da terreni argillosi e sabbiosi, ricchi di detriti minerali generati da fenomeni alluvionali e da una quantità notevole di vitigni, soprattutto internazionali. L’Isonzo, più a est, chiude con le denominazioni a pianura, segnando delle diversità. Qui siamo in provincia di Gorizia, in un’areale in cui il fiume Isonzo impronta in modo dinamico la Doc, con due microzone pedologiche tipiche: a nord le Rive Alte, zona più fresca e ricca di argille nobili impastate a ghiaie rosse. A sud le Rive di Giare, i cui terreni, sottoposti a una costante ventilazione, sono composti di ghiaie calcaree bianche e di sabbie portate dal vicino Adriatico. E seppur anche in questa Doc ci sia una presenza variegata di vitigni, non mancano degli interpreti di spessore, soprattutto per Friulano e Sauvignon. Continuiamo a spostarci verso est e troviamo il Carso, suddiviso tra le province di Gorizia e Trieste, in un crogiuolo di culture.
Faedis, vigneti – ph Ulderica Da Pozzo
Carso, che significa roccia. Uno degli elementi fondanti di questo altopiano calcareo che si solleva dal mare in modo netto, arrivando subito ai 200 metri e raggiungendo i 300 metri di altitudine. Colpisce subito la luce di questo luogo dell’anima. Intensa, diretta. L’irrequieta mobilità del cielo, che sembra comunicare a suo modo. E’ il vento, la bora, che qui disegna le rocce e i volti, che spazza via qualsiasi cosa che non sia parte del genius loci. E la terra, arida, incapace di trattenere l’acqua, dove la roccia madre affiora ovunque, dove le viti devono faticare per nutrirsi. Terra rossa, ricca di ossidi di ferro e di sali minerali, un sottile strato sopra la roccia madre. E l’uomo. Gente tosta i carsolini, che hanno strappato alla roccia la terra per una viticoltura artigianale, in simbiosi con la natura, lontana dall’interventismo enologico, basata sull’osservazione e il rispetto. Poco lontano dai filari dei tre vitigni tipici del Carso, vitovska, malvasia istriana (entrambi a bacca bianca) e terrano (dal refosco, uva a bacca rossa), compaiono nei boschi i ciuffi del sommacco, arbusto che cambia colore stagionalmente, dal giallo primaverile al rosso autunnale. Un mondo che afferra i sensi e dove scorre un’energia vibrante, sia nel sottosuolo, sia nell’aria. E che impregna i vini, sapidi, verticali, dinamici, caratteriali. Anche qui (vedremo poi nel Collio, zona natale) si macerano i bianchi, dando loro maggior struttura, consistenza e volume.
Prepotto- ph Alessandro Michelazzi
Saliamo nel lembo orientale per entrare nel Collio Goriziano: camminiamo le vigne, toccando con mano la “ponca”, terra antica composta da argille calcaree e sabbie calcificate, che tanto incide sulla sapidità e sulla longevità dei vini. I vini del Collio sono i più celebri vini della regione, conosciuti in tutta Italia e non solo. Fra gli internazionali, spiccano il Sauvignon, il Pinot bianco, lo Chardonnay, l’immancabile Pinot Grigio, fra gli autoctoni il Friulano, la Malvasia Istriana e la Ribolla gialla. La zona di Oslavia, per quest’ultimo vitigno, ne rappresenta l’enclave più autorevole, in particolare per la pratica della macerazione sulle bucce. E’ da qui che inizia il vento della rivoluzione di un pensiero filosofico, compiutosi con l’utilizzo delle anfore georgiane, che poi soffierà su tutta l’Italia e non solo.
Poco sopra a questa zona estremamente vocata, troviamo un altro areale significativo, sempre su terreni di ponca, i Colli Orientali. Siamo in provincia di Udine, ma per un tratto si confina con la repubblica della Slovenia, a rappresentare una sorta di trait d’union tra i due diversi spiriti regionali, quello friulano e quello giuliano. L’area vitivinicola è ampia, con un mosaico di paesaggi viticoli e vitigni, tra i quali spicca, anche per estensione, il friulano, varietà identitaria della regione. Qui insistono tre delle quattro Docg regionali (Ramandolo, Picolit e Rosazzo) e la massima concentrazione di sottozone friulane (Refosco di Faedis, Cialla, Ribolla gialla di Rosazzo, Pignolo di Rosazzo, Schioppettino di Prepotto). I due vini dolci, il raro e celebrato Picolit e il Ramandolo (Verduzzo friulano in purezza), sono delle poesie liquide, perle dell’enologia regionale, capaci di valorizzare freschezza acida e sapidità tannica. Tra i rossi, si esprimono bene lo Schioppettino di Prepotto, con le sue speziature e la sua beva slanciata, i Refosco, con i loro caratteri irruenti e vitali e il tannico e bizzoso Pignolo, che sta tornando in auge per le sue sbalorditive capacità di evoluzione, essendo uno dei vini più complessi e longevi in Italia.
Mappa dei comuni Colli Orientali
Un viaggio che ci ha dimostrato come molti vignaioli del Collio, dei Colli Orientali e del Carso siano testardi, indipendenti, ognuno con le proprie idee e le proprie convinzioni, tali da rifiutare spesso gli schemi che dominavano l’enologia friulana degli anni Novanta. La nozione di terroir tra loro è molto forte, anche se forse all’esterno non appare come dovrebbe. I loro vini contengono spesso una visione sociale, etica e politica del lavoro e della campagna. Pensiamo a Gravner, fra tutti.
Mandi, Friuli Venezia Giulia, “piccolo compendio dell’universo”.
Foto copertina Cividale del Friuli photo credits di Fabrice Gallina