Perché l’aumento del prezzo della tazzina al bar tanto amata dagli Italiani potrebbe essere non solo giustificato, ma anche un atto di consapevolezza verso l’intera catena di valore che il caffè rappresenta
di Mattia Marzola
Due cose sembrano in grado di sconvolgere gli italiani al punto da scatenare, seppur solo virtualmente, delle vere e proprie sollevazioni popolari, che come tali sfociano in importanti campagne stampa, una è il calcio, e pur rallegrandoci che sia ripartito il campionato, oggi parleremo dell’altra, ossia il costo del caffè espresso. Si sono susseguite nelle ultime settimane, diverse polemiche riguardo al potenziale aumento del costo della tazzina più famosa d’Italia fino alla soglia dei 2 euro.
Eppure in un’epoca in cui il prezzo del caffè al bar sembra sfidare la replicabilità quotidiana di un rito tutto italiano, parlare di un costo di 2 euro per una tazzina non dovrebbe essere considerato una follia. Al contrario, ci sono validi motivi economici e di mercato che spiegano perché questo prezzo sia non solo giustificabile, ma, ahinoi anche necessario.
Il mercato del caffè verde ha vissuto una turbolenza significativa negli ultimi anni, influenzata da una combinazione di fattori globali: condizioni meteorologiche avverse nei paesi produttori, tensioni geopolitiche e interventi finanziari che hanno fatto salire i prezzi in modo imprevedibile. A tutto ciò si aggiungono le sfide della logistica globale e l’inflazione che ha interessato l’intera filiera. Non ci dilungheremo su complicati calcoli o nell’elencazione di infiniti dati, per chi fosse interessato sono facilmente reperibili e consultabili online, ma rimane essenziale comprendere che il prezzo dell’espresso non riflette solo il costo della materia prima, ma anche una lunga catena di valore che coinvolge molti attori e processi.
La tazzina di caffè che gustiamo al bar è il risultato di un complesso ecosistema economico, e i recenti aumenti dei costi stanno spingendo il settore a riconsiderare il giusto prezzo da applicare al consumatore finale. Quindi, se ci troviamo a pagare due euro per un espresso, non stiamo solo acquistando un caffè, ma sostenendo una filiera che va ben oltre la semplice tazzina.
Per contro bisogna anche considerare il costo che avrebbe mantenere i prezzi dell’espresso “bassi”, cosa già avvenuta in parte in questi anni, proprio in virtù di una certa resistenza culturale che ha, in un certo senso fatto sì che pur di mantenere prezzi di cartello considerati accettabili dalla moltitudine di clienti, il caffè soltanto tra tutti i prodotti da bar non abbia subito aumenti consistenti negli ultimi 20 anni, per capirlo basterebbe confrontare il rincaro avvenuto per qualsiasi altra merce d’uso quotidiano, alcuni addirittura considerati essenziali come pane e latte. Tutto questo ha negli anni fatto sì che il prodotto, venduto in base alle diverse zone d’Italia tra 1 euro e 1,40 euro, non fosse più lo stesso, a farne le spese non solo la qualità ma anche tutta la filiera. Se non riusciamo a pensare di pagare un caffè 2 euro, riteniamo più accettabile bere della caffeina di pessima qualità riscaldata? o peggio ancora farlo a spese dello sfruttamento dei produttori in paesi in via di sviluppo.
Sebbene esistano alcune soluzioni adottate da baristi fantasiosi come far portare la tazzina da casa o altre, per ora solo in via sperimentale, come coltivare il caffè direttamente in Italia, soprattutto in Sicilia, dove si stanno testando coltivazioni di caffè in serre o in ambienti controllati. Soluzione tuttavia per ora molto limitate e non in grado di rappresentare una produzione commerciale significativa, volenti o nolenti non rimane che accettare l’inevitabile aumento del costo dell’espresso al bar. Limitandone eventualmente il consumo e trasformando un rito che vede gli avventori perlopiù consumarlo di fretta, più come abitudine che come piacere, in un’occasione per approfondire, come già si fa con prodotti come vino o birra, quello che veramente c’è nella tazzina.
Mattia Marzola
Giocoliere di parole, voracissimo lettore, buona forchetta (e buon bicchiere) ha deciso di unire le sue inclinazioni, diventando così appassionato docente di lettere ed entusiasta giornalista enogastronomico, anche se poi scrive di tutto.