Uno studio recente svela l’inaspettata diffusione del consumo attraverso piante e fiori
di Emma Pagano
Dall’antichità ad oggi, sembra suscitare un perverso piacere nell’uomo l’osservazione di animali in stato di ubriachezza: ne sapeva qualcosa il filosofo stoico Crisippo, vissuto nel 3° secolo avanti Cristo e morto, si dice, dal ridere, alla vista del suo asino che beveva vino e si gustava una scorpacciata di fichi. In tempi più recenti, nel 2004, Reuters ha riportato il caso di un orso nero accasciatosi al Baker Lake Resort nello Stato di Washington dopo essersi ubriacato di birra. Qualche anno dopo, l’Associated Press ha raccontato di sei elefanti indiani che barcollavano e sradicavano un palo della luce, elettrificandosi, dopo aver bevuto un liquore di riso fatto in casa nel nord-est dello stato del Meghalaya. Persino Charles Darwin notò ne L’origine dell’uomo che le scimmie hanno un “forte gusto” per liquori e birra.
Almeno finora, però, la scienza aveva per lo più smentito questi casi come aneddoti e leggende. Uno studio pubblicato il 30 ottobre sulla rivista Trends in Ecology & Evolution tuttavia svela come il consumo di alcol sia molto più comune nel regno animale di quanto si pensasse.
“Stiamo abbandonando la visione antropocentrica che vede l’alcol come un’abitudine esclusivamente umana,” afferma Kimberley Hockings, ecologa comportamentale e tra gli autori dello studio, condotto da un team dell’Università di Exeter. “L’alcol è infatti abbondante nel mondo naturale, e quasi tutti gli animali che si nutrono di frutti zuccherini entrano regolarmente in contatto con l’etanolo”.
Il fenomeno, spiegano i ricercatori, è radicato nella storia evolutiva, quando circa 100 milioni di anni fa le piante da fiore cominciarono a produrre frutti e nettare, consentendo ai lieviti di fermentare questi zuccheri in etanolo. Da allora, l’alcol è diventato un elemento ricorrente nell’alimentazione di molte specie animali, in particolare nei climi tropicali dove, a causa dell’umidità e delle alte temperature, il processo di fermentazione è continuo.
Alcune specie, nel corso del tempo, si sono adattate, sviluppando enzimi in grado di metabolizzare l’etanolo. Tra i campioni di tolleranza troviamo il tupaya dalla coda a penna, un piccolo mammifero del Sud-est asiatico che si nutre di nettare fermentato dalla palma bertam senza mai perdere la propria compostezza. Come ha spiegato Marc-André Lachance, microbiologo dell’Università del Western Ontario, il tupaya riesce a ingerire dosi di alcol che superano di molte volte i limiti legali imposti per gli umani che si mettono alla guida, senza mostrare però alcun segno di intossicazione. Lo stesso vale per i pipistrelli della frutta: in uno studio del 2010 questi animali, pur consumando acqua zuccherata mescolata a etanolo, riuscivano a orientarsi in un labirinto senza difficoltà, dimostrando una resistenza all’alcol superiore a quella della maggior parte delle altre specie.
Il Tupaya dalla coda a penna, campione di bevute che potrebbe svuotare da solo l’Oktoberfest
Ma non tutti gli animali che consumano regolarmente cibi ricchi di etanolo hanno la stessa capacità di metabolizzarlo. Alcuni, come il cercopiteco verde delle isole caraibiche, mostrano comportamenti simili a quelli umani in un contesto sociale. I giovani maschi, in particolare, sono noti per i loro “raid” ai bar delle spiagge di Saint Kitts, dove rubano cocktail dai tavolini e manifestano abitudini di consumo che vanno dall’astinenza totale, al bere moderato, fino al consumo smodato. Una dipendenza che, secondo i ricercatori, si è sviluppata in origine per via della disponibilità di succo di canna da zucchero fermentato nelle piantagioni locali.
Il Cercopiteco verde, un “peso piuma” che però non rifugge l’alcol
In Svezia, invece, la stagione autunnale è sinonimo di mele fermentate e alci ubriache, come quella che fece notizia nel 2011 perché rimase intrappolata tra i rami di un albero in stato evidente di ebbrezza. Un altro curioso aneddoto riporta che l’astronomo Tycho Brahe tenesse come animale da compagnia proprio un alce che lo seguiva come un cagnolino, fedele compagno fino al giorno in cui dette fondo a un barile di grappa e ruzzolò per le scale, morendo per la caduta.
E ancora, i miti degli elefanti ubriachi, entrati nell’immaginario collettivo anche grazie alla celebre scena del classico Disney Dumbo: fin dal XIX secolo, i racconti popolari africani narrano di elefanti che cercano intenzionalmente i frutti fermentati dell’albero di marula, diventando talvolta aggressivi dopo averne mangiato. Ma gli studi recenti suggeriscono che un simile livello di ebbrezza sia improbabile: perché un elefante possa inebriarsi, dovrebbe consumare una quantità enorme di marula estremamente maturi – oltre 1.400 frutti.
Il curioso caso dell’alce trovato – vivo, seppur ubriaco – in un albero in Svezia
Il consumo di alcolici in natura, come dimostrano gli studi dell’Università di Exeter, è una strategia adattativa complessa e diversificata. In alcuni casi, l’alcol rappresenta una fonte di calorie preziose; in altri, come per le mosche della frutta, offre una difesa evolutiva contro i parassiti: queste mosche, ad esempio, depongono le uova in ambienti ricchi di etanolo, un composto tossico per i parassiti che potrebbero minacciare le larve. I maschi di questa specie, però, rivelano un altro possibile utilizzo dell’alcol che somiglia più alle nostre abitudini umane: nel 2012 uno studio ha rivelato che gli esemplari di mosca della frutta che non trovano una compagna con cui accoppiarsi tendono a consumare cibi ricchi di etanolo, a differenza dei colleghi più “fortunati”. La spiegazione potrebbe avere a che fare con i livelli del neuropeptide F, un elemento chimico simile alla dopamina presente nel cervello di questi animali, che negli esemplari accoppiati raggiunge livelli molto più alti che negli “scapoli”. A riprova dell’utilizzo “comportamentale” dell’alcol in questa specie, quando a questi ultimi viene data una dose di neuropeptide F artificiale, la tendenza ad “affogare nell’alcol” i propri mali scompare.
Sarà un caso, o l’ennesimo esempio di quanto il comportamento animale somigli al nostro? Altre ricerche suggeriscono che l’etanolo potrebbe attivare nei primati, e forse anche in altre specie, sistemi neurologici legati al rilassamento e alla socialità. Anna Bowland, ecologa comportamentale dell’Università di Exeter, osserva: “Testare se questo rilassamento avviene davvero in natura sarà fondamentale per capire l’effetto dell’alcol sul comportamento animale.”
Così, mentre l’alcol per noi è un momento di convivialità e cultura, nel mondo animale potrebbe avere altre funzioni: fonte energetica, difesa dai predatori e, forse, una spinta verso la socialità.
Emma Pagano
Emma Pagano, italo-americana, pratica l’amore per le parole in due lingue, tra comunicazione, traduzione e organizzazione di eventi culturali. Responsabile della Comunicazione di MWW Group, coordina il progetto Vendemmie assieme al team.