Siamo a Montemerano, grazioso borgo medievale dell’entroterra maremmano. Si trova qui l’attività di famiglia di Andrea: il Ristorante Caino, due stelle Michelin da venticinque anni consecutivi.
di Maddalena Peruzzi
Caino era il soprannome di Carisio Menichetti che aprì il locale nel 1971 insieme alla moglie Angela. Proprio da quest’ultima, che poi è diventata sua suocera, ha imparato l’arte Valeria Piccini, una delle dieci donne chef stellate in Italia, che da sempre reinterpreta i piatti poveri della tradizione maremmana in chiave gourmet. La cantina, creata dal marito Maurizio Menichetti, è un vero e proprio scrigno sotterraneo che si trova sotto la piazza di Montemerano. In questo ambiente ricco di fascino vengono custodite circa 24 mila bottiglie. Oggi il responsabile della cantina e della selezione dei vini è Andrea, classe 1979, che ha raccolto il testimone del padre Maurizio.
Il Ristorante da Caino per te è casa, famiglia. Raccontaci i tuoi esordi.
Una volta terminati gli studi di ragioneria, ho iniziato ufficialmente a lavorare nel ristorante e mia mamma ha voluto che rimanessi con lei in cucina per qualche anno, perché riteneva che mi sarebbe stato utile in futuro.
E aveva ragione?
Assolutamente sì. Il proprietario di un ristorante deve sapere cosa vuole dal proprio cuoco, deve conoscere il mestiere. Un domani, quando mia mamma andrà in pensione, pur lavorando in sala, dovrò tenere sotto controllo anche la cucina.
Torniamo ai tuoi esordi. Come ti sei innamorato del vino?
Il mondo del vino “mi è arrivato addosso” molto presto, grazie a mio padre. Ho imparato tantissimo nel corso degli anni, studiando, vivendo la cantina e degustando insieme a lui. Mi sono appassionato e così, dopo quei cinque anni in cucina, sono tornato in sala (insieme al nostro maître Pierluigi che lavora con noi dal 1986) e ovviamente in cantina.
Mi dicevi che alcune esperienze all’estero si sono rivelate molto formative per te…
È vero, nel 2009 sono andato a fare un “giretto” all’estero e sono tornato nel 2016 (Ride, ndr). Ho lavorato in alcuni ristoranti a New York, Miami e Aspen, in Colorado. Aspen in particolare mi ha dato tanto, perché ho avuto la fortuna di lavorare insieme a dei grandi Master Sommelier. Poi, nel 2016, quando mio padre ha deciso di andare in pensione, sono tornato a casa.
La vostra cantina è speciale da molti punti di vista. Ce la racconti?
È una cantina naturale perfetta. 200 metri quadri di stanze, gole e anfratti sotterranei con un’escursione termica tra i 12 e i 18 gradi e l’80% di umidità costante: sono condizioni ottimali per la conservazione dei vini. Avere una cantina così è fortuna, chi non ce l’ha se la ricrea artificialmente, ma non è la stessa cosa.
Invece la tua carta vini com’è?
La prima vera carta vini di Caino e la cantina le ha create mio padre. La mia carta vini è l’evoluzione di quella che ho ereditato da lui. L’edizione 2023 conta 2550 referenze. Se i dati non sono cambiati, come dimensioni dovrebbe essere la terza carta vini in Italia, dopo l’Enoteca Pinchiorri di Firenze e La Ciau del Tornavento di Treiso (CN). Metà della mia carta è dedicata ai vini toscani, di cui ho anche delle verticali davvero importanti.
Tolti i vini della tua regione, da cos’è composta la carta?
Ho vini da tutte le regioni d’Italia, mi manca solo il Molise. Cerco sempre di riassortire tutto, chiaramente tenendo anche in considerazione cosa si vende di più e di cosa si vende di meno.
I vini italiani che fetta occupano della tua carta?
Il 70%. Sai, la nostra clientela è per l’80% italiana e generalmente preferisce bere vini della zona. Poi però abbiamo anche una clientela più locale che invece viene da noi perché abbiamo una bella selezione e vuole assaggiare vini diversi, non toscani.
In quel 30% di carta dedicato all’estero cosa c’è?
Le fette più grosse sono Francia e Spagna. La Spagna è la grande passione di mio padre, abbiamo un vino spagnolo del 1922, ha compiuto 100 anni, pensa! Poi la Francia. Per darti l’idea, ho lo stesso quantitativo di referenze di rossi della Borgogna che di Montalcino, circa 300. E ho anche una bella collezione di Bordeaux.
Non hai citato lo Champagne…
Tengo i grandi nomi, ma per il resto non ho una grande selezione. Probabilmente ti sorprenderà, ma non è una tipologia che vendo molto. O meglio, ne vendo tanto al calice, a inizio serata, ma le bottiglie vanno via poco. Questo discorso vale un po’ per tutte le bollicine, in generale. Chi viene da noi preferisce bere vini fermi, in particolare vini toscani.
Avete anche vini di vostra produzione?
La mia famiglia ha sempre avuto olivi e vigne, così quando mio padre è andato in pensione ha iniziato a produrre olio e vino. Per quanto riguarda il vino abbiamo due IGT, un bianco e un rosso, che si chiamano “Carisio”. La vigna era di mio nonno e mio padre ha voluto dedicare i vini a lui. È una piccolissima produzione, circa 2000 bottiglie.
I tuoi clienti si lasciano guidare da te nella scelta del vino o preferiscono arrangiarsi?
L’80% di loro si affida a me.
Qual è secondo te l’obiettivo più importante per un Sommelier?
Riuscire a dare al cliente il vino che vuole. Quando il cliente esce dal ristorante completamente soddisfatto, abbiamo vinto tutti: sala e cucina. Lì la squadra ha vinto la partita.
Ci racconti un aneddoto della tua carriera che ricordi con piacere?
Quando ero piccolo in estate davo una mano al ristorante. Portavo pane, acqua e conti. Un nostro carissimo cliente, anche lui ristoratore (era proprietario del ristorante Puny di Portofino) un giorno mi chiese: “Ma tuo padre ti paga?” Io risposi di no e lui mi lasciò 50 mila lire di mancia. Una tradizione che poi ha sempre mantenuto, fino a pochi anni fa, quando è venuto a mancare.
Ora una serie di domande a raffica.
La tradizione è una zavorra? No
Ci sono limiti all’innovazione? No
Un piatto per cui vai pazzo? Carbonara
Libro sul comodino? “Io servo” di Vincenzo Donatiello
Cosa fai per liberare la mente? Bici o moto. In ogni caso: due ruote
La cosa che ti fa più arrabbiare? La mancanza di rispetto
La caratteristica che le piace di più nelle persone? L’educazione
Da uno a dieci quanto sei soddisfatto? 9
E stressato? 12
Com’è lavorare in famiglia? È un brutto ma buono (Ride di gusto, ndr)