In occasione delle 40 vendemmie, l’azienda piemontese ci ha ospitato per una degustazione esclusiva. Alla scoperta di un vitigno antico e nuove frontiere in vigna
di Daniele Alessandrini
Vi raccontiamo un viaggio nel profondo nord torinese alla scoperta di uno storico produttore della preziosa Docg Erbaluce di Caluso, già Doc nel 1967; un vino di cui si hanno tracce certe sin dal 1600 e che caratterizza un territorio piccolo e geologicamente giovane, con una produzione di un milione di bottiglie l’anno. Il Canavese è il territorio più settentrionale della provincia di Torino, confinante con la Valle d’Aosta.
Si tratta dell’azienda vitivinicola Cieck di San Giorgio Canavese (To) che ha da poco festeggiato la quarantesima vendemmia con una degustazione dedicata all’autoctono vitigno a bacca bianca e alle tre tipologie di vino prodotte.
Il deus ex machina di Cieck è Remo Falconieri, l’Archimede delle bollicine che assieme a Lodovico Bardesono fondò nel 1985 ad Agliè l’originaria Cantina, in una cascina chiamata dei Ciech dove c’è ancora una porzione di vigneto. L’intento era quello di produrre uno spumante metodo classico, la passione di Remo.
Nato in una famiglia contadina canavesana, Falconieri ben presto scoprì il proprio estro inventivo lavorando alla Olivetti di Ivrea. La capacità di sviluppare le proprie idee e i viaggi in Francia per imparare le tecniche dello Champenoise, lo portarono ad investire tempo e risorse nella viticoltura.
Gli albori di Cieck riportano a quando Remo viaggiava oltre confine assieme ai “Barolo Boys”, godendo delle consulenze enologiche di un giovane Gianfranco Cordero, trait d’union tra Cieck e le Langhe. Quei giovanotti erano animati dalla curiosità e dalla voglia di sperimentare che in Falconieri sono rimaste intatte, al punto che nel 2022 ha progettato e brevettato un sistema di pergola semirovesciata per ottenere un doppio vantaggio: meccanizzare la raccolta dell’Erbaluce – che in ragione della notevole vigoria non può essere allevato a Guyot – e migliorare la qualità dell’uva risparmaiandole l’umidità proveniente dalla vegetazione che sovrasta i grappoli nella pergola tradizionale. Un modello è esposto nel cortile dell’azienda a San Giorgio: vedere per credere.
In azienda con Remo troviamo sua figlia Lia – factotum -, Domenico Caretto – agronomo -, Gianpiero Gerbi – consulente enologico dal 2014 – e il giovane enologo Tommaso Scapino. Cieck possiede tredici ettari allevati a pergola secondo la tradizione locale: si tratta di uva Erbaluce in stragrande maggioranza e poi Nebbiolo, Barbera, Neretto e Freisa in alcuni vigneti storici della famiglia Caretto. Il Neretto di San Giorgio (o di Bairo) è un vitigno autoctono impegnativo sia in vigna che in cantina e Cieck lo vinifica anche in purezza. Nelle vendemmie favorevoli, con le uve rosse si produce anche un Rosé Brut metodo classico: l’annata 2023 sarà in commercio il prossimo autunno.
La vigna identitaria della Cantina è Misobolo, la cui terra ricca di minerali custodisce con cura una vite secolare a piede franco scampata alla fillossera. Misobolo è un vigneto cru di San Giorgio piantato da Remo quando era sindaco del paese negli anni ‘70, con le pergole alte e doppie a coprire quasi due ettari di collina.

La nuova cantina e la passitaia
Nel rispetto dell’ambiente, dal 2013 sorge la nuova Cantina nel cuore di un vigneto di proprietà dell’azienda, con Cieck che da Agliè trasferisce la propria sede a San Giorgio. L’innovazione porta in azienda i pannelli solari, l’impianto di fitodepurazione e il riciclo dell’acqua piovana per la pulizia dei mezzi agricoli. Si acquistano nuove vasche in acciaio per le fermentazioni nonché tonneaux e barriques per gli affinamenti, che in bottaia fanno compagnia alle bottiglie adagiate sulle pupitres.
Sin dall’inizio dell’attività, tutte le operazioni di produzione di spumante metodo classico sono fatte in azienda; in assenza di terzisti, negli anni ‘80 molti produttori piemontesi si affidavano invece a consulenti della Franciacorta.
Nella cantina di affinamento il colpo d’occhio delle bottiglie inclinate sulle pupitres è suggestivo, contornate da file di tonneaux e barriques di rovere utili ad alcuni affinamenti dei vini fermi e passiti. I legni sono prevalentemente non di primo passaggio, per rispettare le peculiarità del vitigno e perché l’acidità dell’Erbaluce abbinata a un legno nuovo è difficile da gestire. In una botte di rovere di Slavonia affina invece il Nebbiolo. Cieck produce circa 20-25.000 bottiglie di spumante ogni anno, il remuage è manuale e le sboccature si fanno sei/sette volte l’anno.
Per produrre l’aromatico Passito Alladium, i grappoli di Erbaluce vengono selezionati e appesi in passitaia su appositi telai come nell’800. Qui l’adeguata ventilazione consente l’azione positiva della botrytis cinerea a scapito delle muffe cattive, un processo che determina i sentori tipici dell’aromatico Alladium. Quattro o cinque mesi di appassimento e, dopo la fermentazione, almeno cinque anni di maturazione in legno di rovere. In passitaia l’uva si conserva perfettamente, aspetto fondamentale in una zona geografica in cui le vendemmie tardive sono impraticabili a causa del clima piovoso.
I grappoli migliori di Erbaluce – fino a cinquanta quintali d’uva – appassiscono uniformemente appesi ai tradizionali stendini con particolari pinzette dentate, senza che nessun acino si stacchi. Molto meglio che stenderli sulle stuoie dei granai come si faceva in passato.

La Docg Erbaluce di Caluso
La regione della Docg Erbaluce di Caluso si estende da Caluso a sud fino ad Ivrea a nord, quasi esclusivamente nella provincia di Torino con le eccezioni di quattro comuni del vercellese e biellese (Moncrivello, Roppolo, Viverone e Zimone). Nel secolo scorso l’identità territoriale e la solidarietà erano molto sentite e la Cantina Sociale del Canavese di Cuceglio (che purtroppo non esiste più) svolgeva un ruolo fondamentale.
Circa un milione e mezzo le bottiglie prodotte in un anno per un vino che racchiude in sé i caratteri unici dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea, un suolo acido ricco di scheletro e costituito principalmente da sabbia, sassi e ciottoli. La buccia spessa degli acini consente all’Erbaluce di difendersi bene dall’umidità del clima locale.
Degustazione
La degustazione degli Erbaluce si è incentrata su nove etichette, andando a pescare in qualche vecchia annata promettente. Nella prima batteria si sono presentati i tre spumanti cavalli di battaglia dell’azienda: Nature, San Giorgio e Calliope.
Per omaggiare il primo vino prodotto da Cieck, il San Giorgio, ci è stata proposta un’etichetta del 2009. La storia del Nature è curiosa, legata ad una delle stagioni vinicole più fredde degli ultimi vent’anni, la 2013. Per esaltare il pregevole contenuto di acidi naturali dell’Erbaluce – rapporto uno a uno tra il malico e il tartarico come per lo Chardonnay in Champagne, ad esempio – si decise di produrre per la prima volta una bollicina pas dosé, con sboccatura nel 2018. Annata 2013 anche per il Calliope, un brut Riserva che in parte fermenta in legno e resta sulle fecce per nove mesi e poi minimo quattro anni sui lieviti, dopo l’assemblaggio col prodotto vinificato in acciaio: belle sensazioni olfattive e finale persistente agrumato.
L’assaggio del cru Misobolo – siamo passati all’Erbaluce fermo – ha riguardato le annate 2018, 2015 e 2013. Freschezza e mineralità si sono rivelati caratteri comuni dei tre assaggi, non a caso esaltati dall’etichetta più vecchia, sia per il pregio della vendemmia che per le caratteristiche del vitigno Erbaluce, capace di riservare grandi sorprese dopo lunghi affinamenti in bottiglia grazie al tannino – si tratta di un vino bianco ma ha gli stessi tannini del Grignolino – che nel tempo acquisisce eleganza.
Il Misobolo si trova a 320 m. slm su un terreno arido e sassoso esposto a sud-sudovest: un vigneto che dà vita a un vino che non passa inosservato, equilibrato e che richiama il sorso.
Se l’Erbaluce denota il carattere coriaceo dei canavesani, l’Erbaluce Passito ne rivela l’animo gentile che non sempre emerge di primo acchito. Abbiamo assaggiato l’Alladium (nome latino di Agliè, dove nel 1985 il passito di Cieck nacque assieme alla Cantina), Erbaluce di Caluso Docg Passito, annate 2004, 2000 e 1997: avrebbero potuto essere annate diverse e raccontare la stessa storia, rappresentando la medesima identità. Non c’è infatti un problema di impoverimento del vino nel tempo, tutt’altro.
Il ‘97 ad esempio ha rivelato grande aromaticità e persistenza, capaci di rendere meno impattante la dolcezza. I caratteri tipici del Passito di Caluso trovano una sintesi perfetta con l’ossidazione naturale che ne esalta le muffe nobili. Nell’affinamento in bottiglia giocano un ruolo importante i tappi, la cui qualità è migliorata nel corso degli anni.

La cucina tipica del Canavese e il Neretto
Nel segno del Canavese anche il pranzo che Cieck ci ha offerto con gentilezza e orgoglio, all’insegna di alcuni piatti tipici del territorio (salampatata, risotto all’Erbaluce, zuppa a base di pane raffermo e cavolo verza di Montalto, formaggi e dolci) e di altre interessanti produzioni vinicole dell’azienda: il Sust – Canavese Doc Nebbiolo con un anno mezzo di botte -, l’Ingenuus, vino bianco “naturale” fatto come ai vecchi tempi con fermentazione spontanea, qualche giorno di macerazione sulle bucce e affinamento in legno di terzo passaggio – secondo noi ben abbinabile ai formaggi stagionati – e il Neretto di San Giorgio – appena svinato dalla barrique ma in grado di evidenziare un fruttato particolare pur mancando del necessario affinamento in bottiglia.
Il Neretto merita qualche nota descrittiva, trattandosi di un vino poco conosciuto. Si tratta di un vitigno autoctono del Canavese molto diffuso nel passato, oggi limitato a pochi ettari di vigneti a causa delle difficoltà di coltivazione e la modesta produttività. Parliamo di un rosso dalle caratteristiche uniche, che Cieck etichetta col nome TreCarli Canavese Doc in ricordo della Commissione della Repubblica Piemontese – composta da Carlo Botta, Carlo Stefano Giulio (entrambi di S. Giorgio) e Carlo Bossi – che all’inizio dell’800 guidò il Piemonte in un’epoca in cui il Neretto era il vino più diffuso in terra canavesana.