Mario e Remo del ristorante “Verso” a Milano, insieme al loro sommelier Marco, raccontano la nuova frontiera del gusto italiano in sinergia creativa con i vini francesi
di Alessandra Meldolesi
Chi saranno i big della cucina italiana a venire? Fra i primi nomi che galleggiano in testa ci sono sicuramente Mario e Remo Capitaneo, co-chef di Verso a Milano. Già il loro curriculum somiglia a un Bignami della cucina italiana: insieme o separatamente hanno infilato il Quisisana, Andrea Berton ai mitici tempi del Trussardi alla Scala, Crippa, Cracco e Baronetto. Finché non sono stati risucchiati nella galassia Bartolini dopo una cena alle Robinie nel 2010. Da lì è iniziata una simbiosi creativa e professionale totale, durata dodici anni, al Devero e al Mudec. Tanti avrebbero fatto carte false per quel posto apicale, dopo la conquista della terza stella nel 2020. Loro invece già pensavano a un progetto condiviso, magari in Piazza Duomo, sotto quell’insegna “Verso” che allude a convergenze e confluenze, ma anche alle leggi ferree della poesia. Il premio sono state due stelle Michelin lampo, all’unisono con un altro big di domani, Michelangelo Mammoliti. Ma queste sono altre Vendemmie.
Oggi Verso è uno dei ristoranti più eccitanti della scena gastronomica milanese, dove la competizione non manca, grazie al bancone dietro il quale i due fratelli siamesi si affaccendano, cucinando e rifinendo piatti complessi, centrati e generosi. Le responsabilità sono condivise, anche se Remo tende forse a un gusto più rotondo, mentre Mario cerca i punti di rottura e coltiva con passione la panificazione e la pasticceria. Per la cantina hanno cercato il numero di una vecchia conoscenza: Marco Matta, già sommelier del Mudec, di Casa Perbellini e di Aimo e Nadia.
Mario: Con Marco ci siamo conosciuti al Mudec. La prima impressione reciproca è stata personale, nel senso della sinergia umana; quella professionale poi è venuta col tempo. Allora funzionava più o meno come adesso: quando insieme a Remo ed Enrico Bartolini ci confrontavamo sui piatti, a un certo punto coinvolgevamo la sala per capire in che modo farli funzionare, lavorando in team. Così abbiamo iniziato a conoscere i nostri gusti e temperamenti. Il timbro era già formato, ora abbiamo solo le barbe un po’ più bianche.
Marco: Il primo impatto ha fatto la differenza. Ed è stato bellissimo, sono stati gli anni più intensi e gratificanti delle nostre vite, che ci hanno condotto al riconoscimento più ambito, le tre stelle. Ogni giorno tenevamo una riunione o un briefing per capire come raggiungere il nostro obiettivo. Sebastien Ferrara curava di più il servizio e la gestione del back, ma gli ordini e gli abbinamenti erano condivisi. Io poi sono iperclassico sul vino, come Bartolini in cucina. Ferrara è il classicismo in persona e ci siamo trovati perfettamente. Entrambi tendevamo all’estero e questo non è cambiato con i fratelli Capitaneo.
Mario: Tutti dicono “ci piace il vino buono”. Ma mediamente troviamo più conforto nelle etichette d’oltralpe. La nostra carta dei vini ha tre quarti di francesi e un quarto di italiani. Se a Brescia per le tre stelle abbiamo brindato con il calice degli organizzatori, le nostre due stelle le abbiamo festeggiate aprendo un magnum Clos du Mesnil 2008.
Marco: La cantina è focalizzata su due regioni che adoro, la Champagne e la Borgogna; ma copriamo bene anche il resto della Francia, il Rodano, Bordeaux, la Valle della Loira, il Jura. Mentre in Italia mi sono divertito a selezionare referenze che mi piacciono, dalle provenienze più varie. Se le bollicine sono Trento o Franciacorta, i bianchi spaziano fra Piemonte, Marche, Sardegna e Friuli, cercando di evitare i grandi nomi in favore di interpreti del territorio e dell’uva in quel preciso momento.
Remo: Per quanto riguarda i piatti, ognuno ha una storia a sé stante. A volte ci mettiamo a tavolino per crearne uno nuovo, che sia sogliola o cuore di manzo, e iniziamo a giocare con elementi acidi, salati o amari. Altre volte può trattarsi di un’improvvisazione estemporanea, non esiste una regola. Alcune ricette le preparo e le faccio assaggiare alla fine a Mario, che propone le sue modifiche. O viceversa. Ma succede anche che componiamo insieme il piatto, passo dopo passo. Invece Marco assaggia sempre alla fine, per evitare figuracce.
Mario: Spesso però gli chiediamo consiglio, per esempio per l’acidità di una salsa o sui vini da usare in cucina, i residui zuccherini o le freschezze. In certi fondi il Porto, nei dolci o nei pâté il Marsala. Ci confrontiamo molto.
Marco: Quando assaggiamo il piatto, mi presento sempre con tre opzioni diverse e scegliamo. Ogni tanto poi a fine servizio stappiamo qualche bottiglia o un campione. Magari con la scusa di un compleanno. Come percorso di pairing ho una linea base, che cambio secondo l’ospite e i nostri assaggi, anche ogni giorno. Sulla degustazione da 6 corse comprende altrettanti calici: all’inizio un bianco aromatico e sapido, come un Riesling tedesco, poi la Borgogna per un sorso più rotondo e magari la Slovenia per l’agrumato; il primo rosso di solito è un pinot nero di Borgogna, segue un rosso più strutturato, toscano o del Rodano, per chiudere con un vino dolce. Attualmente Moscato d’Asti Saracco sul dessert di Burro, salvia e caviale.
Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent’anni.