Viaggio suggestivo circondati da paesaggi unici, viti ancestrali e tradizioni secolari, alla scoperta di un popolo genuino e della sua grande ospitalità
di Claudia Pescarolo
A volte effimera presenza nascosta fra le nuvole e altre imponente, suggestivo sfondo di alcune delle più belle e caratteristiche immagini dell’Armenia, l’Ararat dà l’impressione di essere un nostalgico guardiano della sua terra d’origine, a cui ormai non appartiene più.
La leggenda narra che proprio ai piedi delle sue pendici Noè, dopo esservi approdato con la ben nota arca, iniziò ad allevare la vite per produrre vino: infatti, nel corso della navigazione aveva scoperto e apprezzato a tal punto i piacevoli effetti del succo dell’uva fermentata nelle anfore stoccate a bordo, che una volta giunto sulla terraferma cercò il modo per replicarli.
Come spesso accade, anche in questo caso fra leggenda e realtà c’è un sottile confine: proprio in Armenia, infatti, è stata rinvenuta la prima testimonianza di vinificazione della storia dell’umanità. Risalgono a 6100 anni fa (4000-3800 a.C.) i resti di vinaccioli del vitigno autoctono Areni noir, ritrovati nei karas (le tipiche anfore armene) interrati all’interno della cava Areni-1.
Visitarla è un’esperienza che fa venire i brividi a qualunque enoappassionato, perché ci si rende conto di stare dentro a quello che a tutti gli effetti possiamo considerare il tempio sacro dell’enologia.
Cava Areni
Nell’area di Areni sorgono tutt’oggi alcune delle più importanti e storiche aziende vitivinicole dell’intera nazione, come per esempio Hin Areni, dove è possibile assaggiare il vino ottenuto dal principale vitigno autoctono a bacca rossa, l’Areni noir, caratterizzato da un impenetrabile colore rubino e da note di frutti neri e spezie. L’Areni noir è tipicamente fatto maturare in botti di rovere armeno, proveniente dalle foreste del Nagorno-Karabakh, regione tristemente nota per la sanguinosa guerra recentemente conclusasi con il passaggio di questa “terra di mezzo” all’Azerbaigian.
Barrique in rovere armeno
Con più di 400 vitigni autoctoni, distribuiti su circa 16.000 ettari vitati in cinque regioni vitivinicole, profondamente diverse fra loro da un punto di vista pedoclimatico, l’Armenia si rivela una meta estremamente interessante per gli appassionati del nettare di Bacco: in seguito al periodo sovietico, durante cui la maggior parte delle varietà di uva sono state espiantate per lasciare posto esclusivamente a quelle utilizzate per la produzione del famoso Brandy Ararat, il Paese ha ricominciato a credere nelle proprie tradizioni e potenzialità, tanto da arrivare oggi a una vera e propria rinascita del vino armeno.
A fianco del già citato Areni noir, si trovano vitigni autoctoni a bacca rossa come Kakhet, Tozot e altri a bacca bianca, quali per esempio Voskehat, Kangun, Khatoun Kharji, in grado di regalare vini estremamente piacevoli, dall’ampio ventaglio aromatico e con una considerevole capacità di invecchiamento, che ne valorizza le peculiarità.
Negli ultimi anni, oltre al rapido aumento del numero delle aziende vitivinicole presenti sul territorio, che oggi si aggira intorno a 150, hanno iniziato a sorgere locali in cui il vino, armeno e non, viene non sono degustato, ma anche comunicato con passione: è il caso di InVino, il primo wine bar di Yerevan, fortemente voluto dalla giovane e intraprendente Mariam, che dagli Stati Uniti è tornata nella sua terra d’origine con l’obiettivo di valorizzare le ricchezze armene, ancora enormemente sottovalutate.
Non solo vino
Se la tradizione vitivinicola armena è antichissima e fortemente identitaria dello spirito di questa nazione, lo è altrettanto quella gastronomica. Non a caso il lavash, pane tipico (simile a una piada) sempre presente sulle tavole armene, nel 2014 è stato inserito nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità dall’UNESCO, con la dicitura: “Lavash, la preparazione, il significato e l’aspetto del pane tradizionale come espressione della cultura in Armenia”.
Attualmente è prodotto prevalentemente a livello industriale, ma in qualche piccolo villaggio è ancora possibile trovare luoghi in cui le donne lo realizzano a mano, cuocendolo per meno di un minuto nei caratteristici tonir.
Preparazione del lavash
Il lavash viene servito come accompagnamento di tolmà e altre pietanze a base di carne e verdure, oppure farcito con cecil (una tipologia di formaggio, in questo caso di fossa) ed erbe spontanee o ancora impiegato come ingrediente nel panrakhash, un delizioso piatto tipico a base di lavash, cecil, olio con cipolla fritta, a cui è aggiunta acqua bollente per sciogliere il formaggio e amalgamare tutto.
Silenzio e meraviglia
L’Armenia offre moltissimo non solo dal punto di vista enogastronomico: i suoi quasi mille monasteri, alcuni dei quali dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, regalano esperienze profonde, uniche e panorami mozzafiato; lo smeraldo d’Armenia, come è chiamato il lago di Sevan, grazie al colore che in alcuni periodi dell’anno assumono le sue acque, custodisce errori umani, leggende e misteri; i khachkar, simbolo di questo Paese, racchiudono nella loro essenza tradizione, sacralità, passione e arte; il villaggio troglodita di Khndzoresk, raggiungibile esclusivamente attraverso un ponte sospeso nella gola del Vorotan e quello dei Molocani a Fioletovo, dove per strada è possibile vedere solo i bambini, mostrano l’inclusività del popolo armeno, che dà ospitalità a molte minoranze religiose e/o etniche.
Monastero di Tatev
L’elenco potrebbe continuare ancora a lungo, perché l’Armenia è ricca di storia, cultura, sacralità, natura e sorrisi, ma ciò che rimane davvero nell’anima di questo luogo meraviglioso, ancora non preso di mira dal turismo di massa, sono gli spazi immensi, incontaminati e un profondo, rigenerante silenzio, a cui non siamo più abituati.
Claudia Pescarolo
Metà piemontese e metà veneta, nelle sue vene non può che scorrere vino. Formazione scientifica, animo classico e profonda curiosità sono gli ingredienti che le danno sapore. Dopo una laurea in medicina veterinaria, un diploma di sommelier e un master in comunicazione, ha deciso di dedicarsi alla sua missione: raccontare storie di vino, di persone, di passione e di grande bellezza.