Chef e sommelier raccontano la loro ristorazione d’albergo: “Il codice della strada? Non è un problema per gli ospiti che vanno in camera o salgono su un taxi, ma le nuove regole sono un grave ostacolo”
di Alessandra Meldolesi
Da ormai dieci anni al Seta, ristorante del Mandarin Oriental a Milano, Antonio Guida è uno degli chef più in forma, non solo d’Italia e non solo del momento, meritevole dei massimi allori. Allievo di Pierre Gagnaire, propone una cucina memore del classico ma capace di guizzi imprevedibili e improvvisazioni spiazzanti, incardinata sugli spessori del gusto. Lo affianca da sette anni il sommelier Andrea Loi, responsabile del vino al ristorante in una struttura che conta 180 dipendenti. “Ma non credo che la ristorazione d’albergo rivesta chissà quale ruolo salvifico nella presunta crisi del settore. Il fine dining è il motore, la Ferrari dove tutto nasce, non può morire. C’è sempre tanta ricerca e innovazione, è energia pura. Ciò che si fa oggi nei bistrot di quelli bravi, si faceva vent’anni fa nel fine dining”. Ok, ma che rapporto ha di preciso col vino?

Guida: A questo proposito lascio rispondere Andrea, che mi conosce bene.
Loi: Direi che allo chef piacciono le cose buone: è un amante della Toscana, un grande estimatore del sangiovese e del Brunello di Montalcino e sui bianchi della Borgogna, ma apprezza anche Valentini. Quindi ricerca in particolare la parte elegante e fine del vino.
Guida: Confermo. Mi piace bere a fine servizio un bicchiere per rilassarmi, poi la domenica a casa mia è sempre festa. Spesso ho ospite qualche amico, in particolare un mio vicino, che si chiama Giuseppe ed è avvocato, si presenta sempre con un paio di bottiglie. Come me ama le cose belle e ci divertiamo a stappare.
Loi: Prima del mio arrivo al Seta la cantina era gestita da Ilario Perrot, che l’aveva già impostata in modo molto efficace sulla cucina. Perché il nostro lavoro consiste nell’esaltare l’eccellenza dei piatti. Il vino è soggettivo, una questione di amori e ognuno ha il proprio, poi conta valorizzare l’operato dei cuochi. Quindi la carta dei vini rappresentava già un’ottima base. L’anno scorso abbiamo ampliato il locale della cantina, che oggi è il quadruplo, senza stravolgerla, ma portando avanti la medesima filosofia. L’obiettivo è rimasto quello e sempre lo sarà. Avendo uno spazio maggiore è più facile rappresentare la territorialità, andando incontro ai gusti degli ospiti e rispettando la trama delicata, acida, equilibrata della cucina. Oggi per esempio contiamo dieci produttori a Montalcino anziché tre, riusciamo insomma a entrare nelle peculiarità del territorio oltre i grandi nomi.
Guida: Io e Andrea poi lavoriamo in simbiosi. C’è molta complicità in tutto e lui assaggia continuamente i piatti. Abbiamo un rapporto di stima reciproca, sulla base del quale diventa tutto più semplice. Nel momento in cui il sommelier viene reso partecipe della creazione, l’abbinamento è facilitato.
Loi: Voglio però precisare che né io né il restaurant manager Manuel Tempesta partecipiamo alla fase creativa, anche se sarebbe bello averne le competenze. Con lo chef in questi anni ho avuto la fortuna di imparare a mangiare, acquisendo un palato che mi consente di capire cosa succede nel piatto, sempre con la dovuta umiltà. Con Manuel poi ci conosciamo da Le Gavroche, quindi siamo ben allineati. Il Seta non è comunque un ristorantino dove lavorano tre persone: gli acquisti devono passare al vaglio di diversi uffici, partendo sempre dai nostri parametri del gusto.
Giuda: In pratica la nostra collaborazione funziona così. Una volta che il piatto è completato, prima che vada in carta lo faccio assaggiare ad Andrea, in modo che maturi qualche idea. Poi ci sediamo a tavola e facciamo anche diverse prove con la sua assistente e Manuel, ma chi decide alla fine è lui, che mette sul tavolo varie possibilità. È importante avere più feedback, poi i piatti cambiano spesso e bisogna starci dietro.
Loi: Per fortuna la cucina è in continua evoluzione, non esiste la perfezione anche quando si è perfetti. Nei piatti come nei calici avvengono tanti piccoli cambiamenti e non finiamo mai di fare scoperte. Ringraziando lo chef, mi sento comunque di dire che non ho affatto l’ultima parola. Il nostro pairing è davvero un lavoro di squadra, se non arrivassero suggerimenti, input e idee alternative da tutti, molti abbinamenti azzeccati non li avremmo mai centrati. Manuel in particolare è per me uno dei migliori palati in circolazione. Personalmente dopo tanti anni che assaggio la cucina dello chef, ho capito dove va il sapore. Degustando in qualche azienda mi è successo di avere autentiche epifanie, intuendo che potevamo innovare l’abbinamento di uno stesso piatto anche dopo 5 anni. Perché il gusto mi resta nella testa, è come lo spartito per un musicista. Poi non ho preferenze, quelle dipendono dalla persona che ho davanti, visto che a me piace tutto. Il mio lavoro è conoscere prima le persone dei vini. Per quanto riguarda il Seta, non abbiamo registrato nessuna flessione, perché abbiamo ospiti in-house, cui basta prendere l’ascensore per rientrare. È un ambiente molto esclusivo, tanti abitano qui vicino vanno via in taxi o con l’autista. Le nuove regole piuttosto impattano su di me e sul mio lavoro, anche quando giro per cantine.
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Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent’anni.